Un’unica sessione, dalle 9.30 alle 13, che si snoderà su alcuni temi di grande attualità: dalla normativa sulle persone migranti scomparse ai corpi non identificati fino al quadro legislativo/giuridico di riferimento e alle sfide future. Ne parleranno, nel corso dell’evento patrocinato dalla Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA), dal Ministero dell’Università e della Ricerca e dall’Università degli Studi di Milano , alcuni dei protagonisti che, su fronti differenti, nel corso degli ultimi decenni sono stati impegnati negli ambiti del riconoscimento dei cadaveri ‘senza nome’ dei migranti morti nel Mediterraneo durante la traversata. Dalla professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di medicina legale all’università degli studi di Milano, direttrice del Labanof (laboratorio di antropologia e odontologia forense) ed esponente del consiglio direttivo SIMLA, a Salvatore Vella, procuratore capo della Procura della Repubblica di Gela. Ad aprire i lavori sarà Tareke Brhane, presidente Comitato 3 ottobre, l’organizzazione senza scopo di lucro nata all’indomani del naufragio a largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013 durante il quale persero la vita 368 persone, che ha promosso l’evento e che ormai da oltre un decennio lavora con le scuole europee per creare memoria, sostenere politiche di accoglienza e inclusione e soprattutto costruire una banca dati del DNA delle vittime, tema che sarà al centro dell’incontro di martedì.
“La maggioranza dei corpi delle vittime di naufragio nel Mediterraneo – spiega Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre – non è mai stata recuperata, né identificata. Anche nel caso di ritrovamenti o recupero di corpi, non sempre questi vengono identificati e vengono, quindi, sepolti nei cimiteri senza un nome. Questa situazione ha una duplice conseguenza: da una parte viola la dignità e il diritto all’identità della vittima; dall’altra impedisce ai familiari di avere notizie della persona, violando ulteriori diritti. L’attribuzione di un volto, un nome a una vittima di un naufragio nel Mediterraneo presenta caratteristiche e difficoltà particolari e ben diverse rispetto ad altri casi di identificazione di corpi. Nel caso dei morti in mare, infatti, entrano in gioco molti fattori che rendono non sempre utilizzabili le metodologie e gli strumenti utilizzati comunemente. Si pensi al numero ravvicinato e purtroppo elevato degli scomparsi durante la traversata via mare, alla mancata ricerca e al mancato recupero effettivo di tutti i corpi, agli strumenti a disposizione da parte delle strutture sanitarie, all’assenza di banche dati e di un numero adeguato di personale sanitario specializzato, alla situazione del paese di origine della persona e dei loro familiari. Tutti questi fattori rendono necessaria la messa in campo di specifici strumenti, metodologie scientifiche, collaborazione e coordinamento a più livelli tra istituzioni e altri organismi nazionali e internazionali, per poter effettivamente provare a recuperare e identificare le vittime di naufragi, dare dignità e sepoltura a queste ultime e sollievo e pace ai familiari“.
Nel processo della ricerca dell’identità dei cosiddetti “cadaveri senza nome” la medicina legale è da sempre in prima linea, a partire dall’azione del gruppo scientifico GIAOF (Gruppo italiano antropologi odontologi forensi) di SIMLA che è al lavoro sulle linee guida per l’identificazione: si prevede una prima definizione entro due anni e sarebbe il primo modello uniforme per tutta Italia. Ormai da svariati anni in campo sul tema del riconoscimento c’è proprio la professoressa Cristina Cattaneo.
“Il nostro impegno – precisa la professoressa che ne ha discusso anche in occasione del Congresso SIMLA di Catania lo scorso giugno – è di fare in modo che questi morti abbiano la stessa dignità degli altri, chiedendo che anche per loro venga fatta una scheda da inserire all’interno di un sistema europeo che possa facilitarne l’identificazione attraverso la comparazione con le schede degli scomparsi”.
E proprio su questo fronte la professoressa è impegnata per promuovere, come richiesto al Parlamento europeo, “una legge che obblighi gli Stati membri a creare degli hub in cui si trovano i dati dei cadaveri senza identità da incrociare con quelli raccolti dai famigliari delle persone scomparse, ovunque essi si trovino” e parallelamente “bisognerebbe operare per modificare la normativa italiana, o meglio implementare la legge 203 sugli scomparsi, al fine di promuovere un modello operativo che consenta di sottoporre ad autopsia giudiziaria e ad analisi identificative tutti i cadaveri senza identità e non solo quelli delle vittime di reato”.
Un impegno che si muove su più fronti e che sta già ottenendo dei primi riconoscimenti: “Simla e anche il mondo giuridico accademico italiano – conclude la professoressa Cattaneo – stanno spingendo per cercare di promuovere degli adattamenti non soltanto per la legge 203 sugli scomparsi in Italia, affinché accolga anche la questione dei cadaveri dei migranti senza identità, ma addirittura questa battaglia si sta compiendo a livello europeo con diverse audizioni in Commissione Diritti umani del Parlamento europeo e più recentemente al Consiglio d’Europa. Incontri che hanno dato dei risultati, infatti hanno accettato le nostre raccomandazioni in uno dei loro documenti recenti”.
Comunicato stampa