In ricordo dell’ingegnere Antonio Mazza, ucciso dalla mafia a Giammoro in provincia di Messina

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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ricorda la figura dell’ingegnere Antonio Mazza nella ricorrenza del 31esimo anniversario della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1993 a Giammoro in provincia di Messina per mano di alcuni killer della mafia.

La figura di Antonio Mazza, a più di trent’anni dal suo omicidio, è considerata oggi simbolo della lotta per la libertà e la verità contro il sistema mafioso.

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Lo ricordiamo, con profonda partecipazione, perché l’attualità del discorso che Antonio faceva con il giornalista Beppe Alfano è straordinariamente viva e attuale “togliamo i ragazzi dalla strada, facciamoli lavorare e così togliamo manovalanza alla mafia, la quale, da sola, con i suoi generali, la guerra non potrà più farla”.

Oggi una studentessa calabrese, Giulia Vinci, della classe III sez. G, del Liceo scientifico Filolao di Crotone ricorda la figura di Antonio Mazza. 

La vita di Antonio Mazza era una vita piena e realizzata. Padre di 3 figli, presidente della squadra di calcio locale e amministratore di un canale privato “TeleNews”.

Barcellona Pozzo di Gotto è un comune nella provincia di Messina che, per imfiltrazioni mafiose, è sempre stato male amministrato. È proprio qui che nasce e vive Antonio Mazza; nel corso della sua infanzia stringe stretti rapporti con Beppe Alfano, un suo concittadino. Entrambi sono legati dalla passione per la verità e per la giustizia così si ritrovano insieme a limitare e smascherare le inettitudini causate dell’amministrazione comunale. Nonostante Antonio conducesse una vita così attiva senza alcuna paura anzi, con grande coraggio e disponibilità, ma soprattutto con tanto amore per la famiglia, la sera del 30 luglio 1993 prima di mezzanotte mentre giocava a carte con degli amici a pochi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto, fu raggiunto da due uomini con una moto di grande cilindrata e fu assassinato. Gli spararono due colpi di fucile calibro 12 e quattro colpi di pistola calibro 38. Per Antonio non ci fu nessuna possibilità di salvezza. Aveva solo 45 anni e una vita davanti, una vita costellata di risultati e successi, derivati dal continuo combattere per la giustizia e per il bene, ma purtroppo ha incontrato un nemico troppo forte che ha interrotto il suo cammino, e che lo ha costretto a lasciare i suoi figli, che per lui erano il “suo tesoro”. Chissà per quanto ancora avrebbe vissuto Antonio, ma ancora una volta la mafia decide le sue vittime senza pensare alla sofferenza che provocherà all’interno delle famiglie colpite. Antonio avrebbe fatto per il suo comune e per il suo Paese solo del “bene” e che per un luogo così martoriato dal malaffare il suo piccolo sarebbe diventato un oceano. Le infiltrazioni mafiose nei comuni del sud rappresentano una sfida costante per la legalità e la trasparenza. Solo attraverso la collaborazione di tutti i cittadini e la vigilanza possiamo contrastare efficacemente queste infiltrazioni e preservare la legalità nelle nostre comunità, soltanto perseguendo la via dell’ onestà, della giustizia, della legalità e dell’ impegno sociale  può restare accesa la fiaccola della speranza di vivere in un Paese libero dagli imbrogli, dalla disonestà, dall’ immoralità, dall’ infamia e dal fango che ogni giorno, con il suo agire, la criminalità organizzata getta sui sacrifici e sulle vita degli uomini onesti.

È importante oggi non dimenticare quanto accadde, affinché i giovani non dimentichino e onorino i valori della legalità.

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

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