Al Teatro Agricantus di Palermo si torna a ridere con una comicità proveniente da oltre Stretto. Da giovedì 4 aprile, nei week end fino al 27 aprile (feriali h 21, domenica h 18), torna ad esibirsi nel teatro palermitano l’attore e commediografo romano Marco Falaguasta con il suo “Non ci facciamo riconoscere”, spettacolo prodotto da Nicola Canonico per la GoodMood, il cui titolo prende spunto da una frase che chi è nato tra gli Anni 70 e gli Anni 90 conosce bene… anche se cosa significasse esattamente questa frase con cui i genitori apostrofavano i figli, è rimasto un mistero!
«“Non ci facciamo riconoscere” è la frase che ci siamo sentiti dire tante volte dai nostri genitori quando eravamo più piccoli – dice Marco Falaguasta, autore del testo insieme ad Alessandro Mancini – , siamo cresciuti con questa frase nelle orecchie. Adesso viviamo in una società dove ci facciamo riconoscere in continuazione: fotografiamo i piatti che mangiamo, dove andiamo in vacanza, quando ci baciamo…»
Quelli a cui si riferisce Falaguasta erano gli anni di piombo, gli anni della legge sul divorzio, sull’aborto, gli anni del sequestro Moro, ma anche del boom economico, dell’Italia campione del Mondo in Spagna. Gli anni della Panda 30 con il finestrino abbassato e l’autoradio che suonava i Depeche Mood, i Duran Duran, gli Spandau Ballet e “Boys” di una dirompente Sabrina Salerno che metteva d’accordo tutti.
«Anni ai quali la mia generazione guarda sempre con nostalgia – continua l’attore – e mi sono chiesto: come ci troviamo in questa società, noi che siamo cresciuti con “non ci facciamo riconoscere”? Certo eravamo giovani e spensierati, ma siamo proprio sicuri che non farsi riconoscere sia stato un vantaggio o forse, in qualche circostanza, avremmo potuto alzare la voce e … farci riconoscere?»
Con il linguaggio leggero e arguto della satira, Marco Falaguasta prova a rispondere a questa domanda per capire se davvero quello che ci aspettavamo è poi successo, oppure ci aspettavamo di più. Dialoga con gli spettatori per capire insieme, passando in rassegna quello che siamo stati, come siamo diventati quelli che, senza né Alexa né Google, le domande le facevamo ai cugini più grandi o allo zio più moderno.