Il settore terziario archivia la crisi e cambia faccia: in sei anni +185mila società di capitali, ma crollano ditte e società di persone

“Su piccoli pesano crisi e difficoltà ad innovarsi, investire su transizione digitale a misura di pmi”. Il rapporto: I fatturati dei servizi tornano sopra i livelli del 2019, ma la distribuzione tradizionale soffre. Il Presidente Nico Gronchi: “Servizi italiani ancora indietro nell’adozione di nuove tecnologie. Web tax equilibri concorrenza o sarà solo un’altra imposta”

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Meno ditte, più imprese strutturate. Il terziario archivia definitivamente la crisi innescata dalla pandemia, ma si trasforma: tra il 2017 ed il 2023, le società di capitali sono aumentate di +185mila unità, mentre sono crollate le ditte individuali (-85mila) e le società di persone (-84mila). Un segnale del progressivo consolidamento del sistema imprenditoriale, ma anche delle difficoltà delle imprese di minori dimensioni, su cui hanno pesato la doppia crisi economica e pandemica e la mancata innovazione. Un ritardo nell’adozione di nuove tecnologie che accomuna – a livelli diversi – tutti i comparti del terziario, riducendone le potenzialità di crescita. È quanto emerge dal II Rapporto sul Terziario, a cura di Assoterziario Confesercenti.

Il peso del terziario.  Nel 2023 le imprese del Terziario sono circa 3 milioni e 90 mila, in leggera contrazione (-9.000 unità), sul 2022. Rappresentano oltre il 60% del totale delle attività della nostra economia: Agricoltura e Costruzioni pesano ciascuno poco più del 14%, la Manifattura circa il 9% del totale delle imprese italiane.

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I comparti. Il 42% delle imprese – quasi 1,3 milioni – è attivo nel commercio: di queste, 710mila circa nel commercio al dettaglio. Le attività dei servizi di alloggio e ristorazione sono il secondo comparto per numero di imprese: oltre 394mila, il 13% del totale. Seguono le attività immobiliari (9%), quelle professionali, scientifiche e tecniche (7%); poi le attività di noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (6%), trasporto e magazzinaggio (5%), servizi di informazione e comunicazione e attività finanziare e assicurative (entrambe al 2%) e Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (2%).

Natalità delle imprese. L’andamento delle nuove imprese iscritte non è lineare. Nell’anno appena conclusosi si registra una ripresa generalizzata rispetto al 2022, che in uno scenario di inflazione e tensioni geopolitiche rappresenta un segno positivo. Tuttavia, questa ripresa insieme a quella del 2021 non sono sufficienti a colmare la pesante caduta registrata a seguito dell’emergenza sanitaria nel 2020. Le iscrizioni, nel 2023, sono circa 13mila in meno di quelle registrate nel 2019. A vedere il calo peggiore di natalità sono il Commercio (-22% di iscritte) e le Attività di Ristorazione (-21,7%). Crescono invece le Attività finanziarie e assicurative, quelle Immobiliari e le Attività professionali, scientifiche e tecniche.

I fatturati. Nell’arco degli ultimi cinque anni (2017-2022) il fatturato nei servizi è cresciuto del 18,1%, superando definitivamente lo stop imposto dalla pandemia: a una variazione negativa del -12% di media nel 2020, anno dei lockdown, sono seguite le crescite del +15% del 2021 e del +14% del 2022. A trainare la crescita soprattutto le attività legate al Turismo e ai Trasporti.

Commercio, tra inflazione e online. Più difficile lo scenario per le piccole imprese del commercio, che si sono trovate ad affrontare negli ultimi anni la difficoltà della domanda, l’irrompere della dinamica inflattiva sulle materie prime e poi a valle sull’intera filiera dei beni e l’evoluzione dei comportamenti di acquisto. Negli ultimi cinque anni, le vendite del commercio elettronico sono cresciute del +110%, quelle della GDO del +11%, mentre le imprese su piccole superfici sono rimaste al palo. Se continua così, nel 2030 i negozi della distribuzione tradizionale intermedieranno solo il 9-10% del largo consumo, ed il 24-25% del non alimentare.

Per il terziario gli ultimi anni sono stati una corsa sulle montagne russe”, commenta il Presidente Nico Gronchi. “Dopo la pandemia e l’iniziale rimbalzo, il settore ha dovuto affrontare non solo una spinta inflazionistica che non si vedeva da tempo, ma anche una forte reazione della Banca centrale europea, con conseguente riduzione di investimenti e consumi.  Le imprese si sono ritrovate a far fronte a improvvisi e significativi rialzi dei tassi di interesse, trovandosi a dover restituire rate in alcuni casi quintuplicate. Uno scenario che ha messo in seria difficoltà il mondo delle piccole e medie imprese del terziario. Particolarmente accentuata la crisi dei piccoli esercizi commerciali che continuano a soffrire una riduzione di quote di mercato, che se già appare rilevante a valori correnti diventa preoccupante in volume. Di questo passo, in prospettiva già dal 2030, le piccole imprese assumerebbero una sostanziale marginalità dei volumi di vendita intermediati, con forti ripercussioni sui livelli di profittabilità delle stesse e con conseguente vivibilità delle aree urbane e cittadine. Si pone dunque un problema di urgenza degli interventi a sostegno delle attività economiche in ambito cittadino, ma anche un problema di equità concorrenziale, di rispetto delle normative e di tassazione delle attività svolte on line spesso con utilizzo di basi giuridiche di comodo. La web tax – appena entrata in vigore, e di cui monitoreremo attentamente gli effetti – deve essere efficace nel garantire pari condizioni concorrenziali, altrimenti rischia di essere solo un’altra imposta. Ma occorre investire anche sull’innovazione diffusa: ritardi culturali, ridotte dimensioni e mercati circoscritti fanno delle PMI italiane aziende digitalmente poco strutturate e poco attente alle potenzialità della digitalizzazione dei processi di innovazione e sviluppo”. 

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