“Partono dal presupposto che siano dei bambini limitati, quindi è inutile pretendere qualcosa“. L’amarezza che traspare dalle parole dei genitori di bambini disabili è impossibile da arginare. Ogni giorno è fatto di burocrazia e lotte per vedersi riconoscere diritti fondamentali. Un sistema già precario, quello regolato dalla legge 104 del 1992, che nei prossimi mesi verrà stravolto dalla legge deroga inserita nella cosiddetta riforma della Buona scuola.
Gabriella Sanfilippo, Manuela Macca e Adriana Tomaselli sono tre madri catanesi di ragazzi diversamente abili. Fanno parte dell’associazione 20 novembre 1989, ente che nelle prossime settimane si recherà a Roma per chiedere lo stralcio della riforma e avviare un tavolo di discussione che coinvolga anche le famiglie. “Si parla di inclusione, ma non è così“, sbotta Sanfilippo. Sua figlia Adriana ha 12 anni e per vedersi riconoscere il diritto al monte ore previsto di insegnamento di sostegno ha dovuto lottare a lungo. In futuro non potranno essere d’aiuto nemmeno le battaglie legali, perché l’intero sistema sarà autorizzato a limitarsi alle già esigue risorse disponibili. “Purtroppo oggi è così: vengono coperte 10 ore, a fronte di un monte scolastico di 30 – descrive – Con questa riforma, anziché andare avanti stiamo andando indietro non so di quanti anni“.
La legge deroga eliminerà anche un’altra figura, quella dell’assistente igienico-sanitario. “È gravissimo che i bambini vengano affidati in questo al personale Ata“, dice Manuela Macca, madre di Giuseppe, di appena nove anni. “Nella scuola di mio figlio ci sono quattro bidelli, tre uomini che tra poco andranno in pensione e una donna, per mille ragazzi – spiega –Come si fa? E poi, da mamma, non farei mettere le mani addosso a mio figlio a persone che non hanno formazione“. E aggiunge: “Ci sono bambini con pannolini, con il catetere o altri problemi; non può occuparsene il personale Ata o la maestra“.
“Per le scuole noi genitori siamo seccature, spine nel fianco“, commenta Adriana Tomaselli. Suo figlio Damiano è uno studente di 16 anni. “Appena ci vedono arrivare ci guardano come rompiscatole, come se fosse un piacere per noi stare sempre a lottare“, sottolinea. “Tra tagli e carenze di personale, cercano di tamponare come possono – interviene Manuela Macca – I bambini disabili per loro sono solo numeri“.
Nonostante gli sforzi di qualche docente che cerca di far fronte a una situazione che rischia di diventare allarmante, a farne le spese – anche dal punto di vista della formazione – sono i bambini e le bambine. I quali, indirettamente, subiscono tutto. Dallo stress dei genitori, alla disorganizzazione della scuola, passando per l’assenza di continuità nei programmi che dovrebbero essere studiati appositamente sulle loro potenzialità.
“Con la riforma, il titolo che avranno al termine delle scuole medie non avrà valore legale, sarà una prova equipollente“, afferma Gabriella Sanfilippo. E la normativa non ha ancora chiarito se sarà possibile per gli studenti continuare le scuole superiori. “Sì, ci sono ragazzi con disabilità gravi, ma che possono raggiungere anche dei risultati, se costantemente seguiti e con insegnanti preparati“, riflette Macca. “Ma in tanti regrediscono“, le fa eco Tomaselli. Che si chiede: “Già siamo a un livello di assistenza minimo; dopo cosa faremo? Li terremo a casa? Riapriremo le scuole speciali?“.