La pressione fiscale, anche alla luce degli interventi che il governo si propone di realizzare con la manovra di bilancio per il 2023, resterà ancora a livelli particolarmente sostenuti: si attesterà al 43,8% del prodotto interno lordo alla fine di quest’anno e dovrebbe poi calare dello di 0,4 punti di pil l’anno, per raggiungere, solo nel 2025, il 42,5% del pil, un livello comunque ancora troppo elevato. Vuol dire che, secondo le previsioni inserite nella Nadef aggiornata, nel 2023 il peso delle tasse, rispetto al pil, sarà pari al 43,2% nel 2023 e al 42,8% nel 2024. È quanto rileva il Centro studi di Unimpresa in un’analisi sulla bozza della legge di bilancio allo studio del governo. «La manovra è in via di costruzione ed è improntata a un sano realismo oltre che a un senso di responsabilità, per quanto riguarda in particolare lo stato di salute delle finanze pubbliche. Le misure, secondo quanto si evince dalle bozze in circolazione, sono orientate a sostenere le imprese e le famiglie in una fase della congiuntura che appare, oggi, difficile e, in ottica futura, risulta caratterizzata da una marcata incertezza. Tuttavia, c’è da ritenere che vi fossero spazi ulteriori per avviare un concreto piano pluriennale volto alla riduzione del cuneo fiscale: solo con un abbattimento importante del peso delle tasse, su tutte le categorie di contribuenti, è possibile proiettare il nostro Paese in una direzione di crescita economica stabile. Ci auguriamo, pertanto, che il governo guidato da Giorgia Meloni, pur nei tempi stretti della sessione di bilancio, accorciati dall’inizio della legislatura da poche settimane, possa incrementare le risorse destinate al taglio delle tasse» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Questo esecutivo, nonostante le turbolenze interne e internazionali, cagionate principalmente dalla guerra e dall’inflazione in costante salita, ha una occasione storica per dare una svolta proprio sul terreno fiscale» aggiunge Longobardi.
La manovra sarà superiore ai 32 miliardi di euro, rileva il Centro studi di Unimpresa, e una parte dei fondi arriverà da ulteriore indebitamento. Si tratta di una scelta condivisibile, che corrisponde ai bisogni di famiglie e imprese, ma, allo stesso tempo, appare in grado di preservare i giusti equilibri di finanza pubblica. Gli attuali livelli, semmai, consentirebbero margini aggiuntivi per fare nuovo deficit. L’assenza di tensioni alle ultime aste di titoli di Stato, durante le quali la presenza di investitori stranieri è stata massiccia, ha allontanato le ombre di incertezza paventate, forse troppo frettolosamente, con il “cambio di guardia” a palazzo Chigi: la maggior spesa per il servizio del debito, accresciuta inevitabilmente dall’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca centrale europea, sarà ampiamente compensata dall’aumento delle entrate e dal gettito derivante dalle imposte indirette (Iva).
Tornando all’indebitamento, i nuovi livelli programmatici di deficit in rapporto al pil sono posti al 4,5% per il 2023, 3,7% per il 2024 e 3,0% per il 2025. Il pil italiano dovrebbe arrivare a 1.903,3 miliardi quest’anno, a 1.994,5 miliardi nel 2023, a 2.088,5 miliardi nel 2024 e a 2.159,0 miliardi nel 2025. L’anno prossimo il pil aggiuntivo, quindi, dovrebbe essere pari a 91,2 miliardi, nel 2024 a 94 miliardi e nel 2025 a 70,5 miliardi. Ne consegue che la crescita economica, secondo le indicazioni, forse troppo ottimistiche del governo, dovrebbe essere pari al 4,7% nel 2023. Si tratta di una stima che non corrisponde alle previsioni di molti osservatori e istituzioni internazionali che vedono, non solo per l’Italia, il rischio concreto di una recessione. Tale previsione, soprattutto, si basa più su eventi sperati che su stime attendibili, se si considerano, in particolare, quella “elevata incertezza del quadro economica” e “la necessità di continuare a contrastare il caro energia” che lo stesso ministero dell’Economia indica tra fattori di preoccupazione nella Nadef aggiornata. Anche a motivo di queste considerazioni, e proprio nell’ottica di favorire una ripresa economica robusta, sarebbe preferibile concentrare un maggior quantitativo di risorse finanziarie alla riduzione del cuneo fiscale.