Nella storia dell’euro non hanno precedenti la stretta monetaria in corso e le condizioni di crescita dei prezzi. A settembre l’inflazione dell’Eurozona sale al 9,9% (era 9,1% ad agosto) e in Germania ha superato la barriera psicologica della doppia cifra, arrivando al 10,9%, con una forte accelerazione, di 2,1 punti, rispetto all’8,8% di agosto.
La Banca centrale europea, come indicato nell’articolo 2 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della BCE, ha il compito di mantenere stabili i prezzi: “questo è il massimo che la politica monetaria può fare per la crescita economica e l’occupazione”. Dopo aver sottostimato la spinta inflazionistica, in coerenza con il target di inflazione del 2%, oggi il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha definito un terzo rialzo di 75 punti base dei tassi di interesse ufficiali – dopo un primo incremento di 50 punti base in luglio e con un secondo di 75 punti base in settembre – ed inoltre “prevede di aumentare ulteriormente i tassi di interesse per assicurare il ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% a medio termine”.
L’orientamento restrittivo della BCE, in un contesto caratterizzato da inflazione spinta dai costi, aumenta la probabilità di una recessione: le previsioni di ottobre del Fondo monetario internazionale indicano nel 2023 una recessione in Germania e in Italia.
Mentre la Germania ha ampi spazi fiscali per una politica di bilancio per la crescita, per l’economia italiana si delinea una pericolosa sincronizzazione pro-ciclica tra una politica fiscale “prudente” e una vigorosa stretta monetaria. In questa prospettiva, e con l’inflazione più elevata dalla sua nascita, la Banca centrale europea potrebbe generare un eccessivo impulso recessivo sull’economia italiana. Sulla politica monetaria europea, nelle ultime settimane si sono registrate le preoccupazioni e un richiamo alla prudenza dei governi di Italia, Francia, Finlandia e Portogallo.
Le ricadute sulle imprese della stretta monetaria sono pesanti. Per le micro e piccole imprese (MPI) fino a 20 addetti, al 30 giugno 2022 lo stock prestiti ammonta a 128.135 milioni di euro; nell’ipotesi controfattuale di un costo del credito che rifletta l’andamento dei tassi ufficiali – con una evoluzione simile a quella osservata nei rialzi adottati dalla BCE tra il 2006 e il 2007 – il ribaltamento degli ultimi tre aumenti dei tassi di riferimento avrebbe un impatto sul costo del credito per le MPI di 2.563 milioni di euro su base annua. Gli effetti si potrebbero ampliare con gli ulteriori rialzi previsti oggi dal Consiglio direttivo della BCE.
In chiave regionale i maggiori costi derivanti dall’aumento dei tassi di riferimento dell’Eurozona sono i 491 milioni di euro della Lombardia, i 267 milioni del Veneto, i 262 milioni dell’Emilia-Romagna, i 210 milioni del Piemonte ed i 208 milioni della Toscana.
La salita del costo del credito amplifica la compressione della redditività determinata dalla straordinaria pressione dei costi dell’energia e delle materie prime, mentre riduce la domanda per investimenti. Come evidenziato da una nostra recente analisi, nel corso del 2022 si sta amplia la quota di imprese con una più elevata probabilità di insolvenza. La stretta rallenterà il settore immobiliare e quello delle costruzioni, i comparti che hanno sostenuto la ripresa post-Covid-19: il tasso medio sui mutui per l’acquisto di abitazioni da inizio anno ad agosto è già salito di 68 punti base.
Una stretta eccessiva, senza un bilanciamento con adeguati interventi di politica fiscale in un contesto economico caratterizzato da gravi effetti sui prezzi dell’energia della guerra in Ucraina, potrebbe fare evolvere il rallentamento in corso in una più grave recessione. Inoltre, si interrompe una fase ordinata di phase out dagli interventi a sostegno della liquidità resi necessari dallo shock pandemico.
In vista della manovra 2023, il rincaro dei tassi di interesse ha rilevanti effetti sui conti pubblici. L’andamento più sfavorevole dei tassi ha modificato la spesa per interessi nel bilancio dello stato: l’importo previsto dalla Nota di aggiornamento al DEF 2022 di settembre supera quello indicato nel DEF 2022 di aprile di 9,3 miliardi di euro nel 2022 e di 16,3 miliardi nel 2023. L’aumento dei tassi influisce su un ampio volume di nuove emissioni, tenuto conto che nell’arco di dodici mesi tra ottobre 2022 e settembre 2023 sono in scadenza titoli di stato per 349,8 miliardi di euro.