Lavoro: dimissioni volontarie e fuga dal posto fisso – “Comu veni si cunta” #26

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Buonasera e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Comu veni si cunta“.

Questa sera mi occuperò di due fenomeni che da qualche giorno, oltre ad occupare le prime pagine dei giornali, stanno impegnando fior di commentatori ed analisti di ogni tipo.

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Parlerò infatti delle dimissioni volontarie di 2 milioni di lavoratori che nel 2021 hanno lasciato il loro posto di lavoro in Italia (sono 25 milioni a livello globale quelli che si sono dimessi negli ultimi 6 mesi del 2021); e della fuga dal lavoro pubblico, dal posto fisso.

Due fenomeni che mandano definitivamente in archivio un modo di pensare, una filosofia di cui sono stati assertori i nostri genitori a partire dal secondo dopoguerra, ma anche molti giovani che hanno studiato per acquisire un titolo di studio che garantisse loro la possibilità di accedere al “mitico” posto fisso, anche nella pubblica amministrazione.

Tutto questo ottenere così una posizione di sicurezza che li mettesse al riparo rispetto ad un eventuale rischio di licenziamento.

Ma perché 2 milioni di giovani si dimettono volontariamente dal loro posto di lavoro e perché migliaia di ragazzi disertano i concorsi indetti al Nord da alcuni rami della pubblica amministrazione come i provveditorati e le motorizzazioni?

Pensate che il concorso per reclutare i primi 8.171 assistenti da destinare all’ufficio del processo non ha prodotto gli esiti sperati: sono rimasti liberi più di 600 posti!

Altro fallimento: a Roma il concorso per reclutare 500 vigili urbani ha fatto gola all’inizio a 38.381 candidati, di questi solo 223 sono stati i vincitori e solo 161 hanno accettato il posto.

Lo stesso concorso Sud bandito per l’ennesima volta ė stato un altro insuccesso: i posti a bando sono 2022, dopo la prova scritta gli idonei ammontano solo a 728.

Rispetto a questi fenomeni qualcuno sostiene – a mio giudizio con una certa superficialità – che i giovani di oggi non amano il lavoro, non amano studiare, non sono disponibili al sacrificio come erano le generazioni precedenti, sono più propensi a vivere sulle spalle di genitori e nonni e più allettati dal divertimento piuttosto che dal lavoro.

Qualche altro, invece, e io sono tra questi, pur ammettendo che possa esserci qualcosa di vero in tutto questo, pensa che le dimissioni volontarie dal lavoro e l’indisponibilità ad occupare un posto fisso al Nord (anche nella pubblica amministrazione) sia legato a ben altro.

Ma a che cosa? Innanzitutto:

  • al rifiuto ad accettare orari insostenibili, impieghi sottopagati e frustranti;
  • al fatto che la pandemia, la guerra, la questione ambientale hanno contribuito a rendere più bassa la soglia di tolleranza per una vita senza felicità, oltre che priva di speranza di benessere materiale;
  • al desiderio di avere una migliore qualità della vita, al bisogno di realizzare nel lavoro i propri sogni, le proprie aspirazioni, anche se questo comporta cambiare lavoro, lasciare il certo per l’incerto;
  • all’indisponibilità ad accettare un trattamento economico spesso anche umiliante lontano anni luce di quello offerto in altri Paesi europei: si scappa dal lavoro pubblico al Nord soprattutto perché salari e stipendi sono troppo bassi per poter vivere in una qualsiasi città.

Basti pensare che al vigile urbano vincitore del concorso a Roma verrà corrisposto uno stipendio di 1.300 euro al mese.

Sfido chiunque a vivere dignitosamente nella capitale del Belpaese quando solo per l’affitto di un monolocale con servizi non si paga meno di 800 euro.

Quindi se l’occupazione non è più garanzia di un reddito in grado di soddisfare i bisogni della famiglia tanto vale provare almeno ad essere felici.

Ecco quindi che molti giovani e molte persone, anche più in là con gli anni, oggi pensano a questo: Considerano molto più di prima la caducità della vita!

Alla base di questi due fenomeni ci sono quindi motivazioni, per così dire, sociologiche, ma anche e soprattutto ragioni economiche.

E come potrebbe essere diversamente in un Paese come il nostro, che negli ultimi 20 anni ha visto diminuire salari e stipendi del 2,9 per cento mentre tutti gli altri paesi europei hanno registrato incrementi mediamente almeno del 30 per cento (Germania, Francia, Inghilterra).

Di fronte a tutto questo, cosa si può fare?

Scopriamolo insieme questa sera!
Appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione sulla nostra pagina Facebook e sul nostro canale Youtube. Non mancate!

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