Tre, quattro o più: qual è il giusto numero per i richiami?

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I richiami del vaccino contro COVID-19 si stanno dimostrando uno strumento utile contro la variante Omicron, ma gli scienziati dicono che la loro crescita all’infinito potrebbe non essere una strategia pratica o sostenibile

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Alla fine dell’anno scorso, alcuni studi hanno mostrato che la terza dose (booster) dei vaccini COVID era efficace nel fornire un po’ di protezione extra dall’infezione, in particolare di fronte alla variante Omicron. Alcuni paesi stanno ora offrendo la quarta dose, ma gli scienziati affermano che fare richiami senza fine potrebbe non essere una strategia praticabile, né il modo in cui questi vaccini andrebbero usati.

“Siamo in un territorio totalmente inesplorato per la scienza dei vaccini”, dice Danny Altmann, immunologo all’Imperial College London. “Siamo inciampati in un programma de facto di frequenti richiami a mRNA come misura di emergenza, ma questo non sembra il modo di procedere.”

A inizio gennaio, Israele ha iniziato a offrire la quarta dose alle persone anziane e immunocompromesse e agli operatori sanitari, sperando di proteggere i gruppi vulnerabili da un’ondata di infezioni da Omicron, dice Ran Balicer, medico esperto in sanità pubblica al Clalit Health Institute di Tel Aviv. I dati preliminari arrivati ora da Israele hanno rivelato che una quarta dose riduce il rischio di infezione e malattia grave.

Ma i ricercatori stanno discutendo se una terza dose sia sufficiente a conferire un’immunità duratura contro Omicron e varianti emergenti nella maggior parte delle persone, o se sarà necessaria una quarta dose, o anche richiami regolari, come avviene per l’influenza.

Alcuni ricercatori affermano che la risposta dipende dall’effetto desiderato: se i richiami sono destinati a prevenire le infezioni e rallentare la trasmissione del virus, o se l’obiettivo è ridurre la malattia grave e tenere le persone fuori dall’ospedale. Altri sottolineano l’evidenza che dosi extra potrebbero ampliare la risposta immunitaria abbastanza da riconoscere nuove varianti. La maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che abbiamo bisogno di nuovi vaccini che offrano una protezione più ampia contro le varianti future.

Limiti dei richiami
Omicron ha cambiato il modo di considerare i richiami, dice Alejandro Balazs, immunologo al Ragon Institute di Cambridge, in Massachusetts. Questo perché, di fronte alla variante, le persone precedentemente considerate completamente vaccinate ora hanno “una risposta anticorpale che è insufficiente a prevenire le infezioni”, dice.

Poiché le epidemie di Omicron si sono diffuse, sono stati usati i richiami per aumentare i livelli di anticorpi neutralizzanti, frenando i casi e alleviando la pressione sugli ospedali. Ma la preoccupazione è che i richiami non blocchino le infezioni a lungo.

I dati provenienti da Israele – raccolti tra giugno e novembre dello scorso anno, quando era dominante la variante Delta  e dettagliati on line prima della revisione tra pari – indicano che l’immunità da terza dose (richiamo a mRNA) svanisce nel giro di mesi, rispecchiando il declino osservato dopo due dosi.

I dati del mondo reale dal Regno Unito, raccolti a fine 2021, suggeriscono che contro Omicron l’immunità conferita dai richiami potrebbe diminuire ancora più velocemente di quanto avviene con Delta. Tuttavia, un altro studio di laboratorio, pubblicato come preprint, e che dunque deve ancora essere sottoposto a peer review, suggerisce che gli anticorpi neutralizzanti suscitati da una terza dose potrebbero sostenere la protezione contro le infezioni da Omicron fino a quattro mesi.

Poiché la protezione offerta dai richiami potrebbe essere di breve durata, distribuire dosi infinite – potenzialmente a spese dell’immunizzazione delle persone non vaccinate nelle nazioni a basso reddito – non è una strategia globale a lungo termine “fattibile o ragionevole”, dice Kanta Subbarao, virologa al Peter Doherty Institute for Infection and Immunity di Melbourne, in Australia.

E, in una dichiarazione rilasciata l’11 gennaio, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha avvertito che “una strategia di vaccinazione basata su ripetute dosi di richiamo della composizione originale del vaccino è improbabile che sia appropriata o sostenibile”.

Dosi ripetute di richiamo dei vaccini esistenti offrono probabilmente solo rendimenti decrescenti in termini di protezione contro i ceppi futuri, dice Miles Davenport, esperto di immunologia computazionale all’Università del New South Wales a Sydney, on Australia. Nuovi vaccini che mirino a varianti specifiche sarebbero probabilmente molto più efficaci, aggiunge.

Se quattro dosi aumentino più di una terza i livelli di anticorpi che bloccano l’infezione dose resta ancora da vedere, dice Davenport, ma questo non ha dissuaso nazioni come Cile, Cambogia, Danimarca e Svezia dall’offrire la quarta dose a gruppi specifici.

I dati preliminari rilasciati ora da Israele, relativi a partecipanti allo studio di età superiore ai 60 anni, suggeriscono tuttavia che una quarta dose, almeno quattro mesi dopo la terza, ravviva i livelli di anticorpi, raddoppia la resistenza contro l’infezione da Omicron e triplica la protezione contro le ospedalizzazioni, rispetto a sole tre dosi.

Protezione ampia e duratura
Altri studi, che hanno esaminato diverse parti della risposta immunitaria del corpo, suggeriscono che una terza iniezione potrebbe già fornire un’immunità duratura nella maggior parte dei casi. La protezione contro le malattie gravi sembra più duratura ed è probabilmente dovuta alle cellule T e B memoria, che rimangono in grado di combattere Omicron anche quando le difese anticorpali diminuiscono.

I dati reali provenienti dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e da Israele mostrano che una terza iniezione (richiamo) di un vaccino mRNA protegge la maggior parte delle persone dall’ospedalizzazione fino a cinque mesi contro la Delta, e per tre mesi o più contro la Omicron. Anche questa immunità più duratura “si affievolisce, ma in misura minore”, dice Balicer, il che significa che una terza iniezione potrebbe essere sufficiente per evitare che le persone si ammalino in modo critico.

Il lavoro guidato da Balazs suggerisce inoltre che una terza dose di un vaccino a mRNA (usati in gran parte in Occidente) non solo ripristina i livelli di anticorpi, ma potenzialmente amplia anche le risposte alle varianti. Dopo quel richiamo, “ora gli anticorpi vedono effettivamente Omicron, mentre prima di fatto non la vedevano”, dice.

“Speriamo che questa terza dose sia sufficiente” per la maggior parte delle persone nel prevenire la malattia grave e offrire una certa protezione contro l’infezione, aggiunge Balazs. Ma alcuni studi suggeriscono che per le persone immunizzate con vaccini a virus inattivati – come i vaccini cinesi CoronaVac e Sinopharm, che sono ampiamente usait nelle nazioni a medio e basso reddito – potrebbero essere necessarie due dosi aggiuntive di un vaccino mRNA per combattere Omicron.

Altmann dice che, con diversi livelli di immunità naturale da infezioni passate nelle comunità di tutto il mondo, e con le persone che hanno avuto molte combinazioni di vaccini, “potremmo aver bisogno di fare un respiro profondo e rivalutare quali approcci diano davvero l’immunità più duratura quando sovrapposti a quello che abbiamo finora”.

Una soluzione migliore dei richiami infiniti
Piuttosto che somministrare infiniti richiami, dice Balicer, un modo migliore per rallentare la pandemia sarebbe sviluppare nuovi vaccini che “abbiano un effetto più lungo e duraturo, e che permettano una protezione adeguata contro più ceppi esistenti ed emergenti”.

I primi dati sui vaccini specifici per Omicron sono attesi entro pochi mesi, anche se potrebbe essere addirittura troppo tardi, vista la rapidità di diffusione della variante. Un vaccino pan-coronavirus che copra tutti i ceppi così come i virus correlati sarebbe preferibile, ma “se questo sarà possibile non è ancora chiaro”, dice Marm Kilpatrick, esperto in ecologia delle malattie all’Università della California a Santa Cruz. “C’è sempre una sostanziale incertezza quando si tratta di evoluzione virale.”

Peter McIntyre, specialista di malattie infettive all’Università di Otago a Dunedin, in Nuova Zelanda, sostiene che, fino a quando non avremo nuovi vaccini, le strategie dovrebbero dare priorità alla protezione degli individui contro la malattia grave, al potenziamento per proteggere i gruppi vulnerabili e all’uso di antivirali per tenere le persone fuori dall’ospedale.

“Dobbiamo mantenere molto saldamente la nostra attenzione sulla protezione contro le malattia grave”, dice. “È questo il criterio in base a cui dovremmo giudicarci.”

Comunicato stampa di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.

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