Neuroscienze, ecco come il Covid attacca il nostro cervello

APERTURA-HASHTAG-SICILIA-NEWS-NOTIZIE-GIORNALE-ONLINE-OGGI-NOTIZIA-DEL-GIORNO-REDAZIONE-CERVELLO-NEUROSCIENZA-NEUROSCIENZE-NEUROSCIENZIATI-LASTRA-ELETTROENCEFALOGRAMMA - EPILESSIA
- Pubblicità -

Sempre più studi indicano che, tramite una serie di meccanismi differenti, l’infezione da SARS-CoV-2 può provocare danni al sistema nervoso che causano una “nebbia cognitiva” e altri sintomi

- Pubblicità -

Il modo in cui COVID-19 danneggia il cervello sta diventando più chiaro. Nuove prove suggeriscono che l’assalto al cervello da parte del coronavirus potrebbe avvenire su più fronti: potrebbe attaccare direttamente certe cellule cerebrali, ridurre il flusso sanguigno diretto ai tessuti cerebrali o innescare la produzione di molecole immunitarie capaci di danneggiare le cellule cerebrali.

L’infezione da SARS-CoV-2 può provocare perdita di memoria, ictus e altri effetti a livello del cervello. Secondo Serena Spudich, neurologa alla Yale University di New Haven, nel Connecticut, la domanda da porsi è: “Possiamo intervenire nelle prime fasi per affrontare queste anomalie, in modo che le persone non abbiano problemi nel lungo termine?”

Con così tanti individui colpiti – i sintomi neurologici sono comparsi nell’80 per cento dei malati di COVID-19 ospedalizzati, secondo il questionario somministrato in uno studio – i ricercatori sperano che questo accumulo progressivo di prove di efficacia possa indicare la strada per ottenere cure migliori.

Irruzione nel cervello
SARS-CoV-2 può avere effetti gravi: un preprint diffuso il mese scorso ha confrontato immagini di cervelli di alcuni individui prima e dopo che si fossero ammalati di COVID-19, scoprendo una perdita di materia grigia in numerose aree della corteccia cerebrale. Si noti per inciso che i preprint sono pubblicati senza essere sottoposti al meccanismo della peer review.

All’inizio della pandemia, alcuni ricercatori specularono che il virus potesse provocare danni entrando in qualche modo nel cervello e infettando i neuroni, le cellule responsabili della trasmissione e dell’elaborazione delle informazioni. Alcuni studi, da allora, hanno però indicato che il virus fa fatica a oltrepassare il sistema difensivo del cervello – la barriera ematoencefalica – e che non necessariamente attacca i neuroni in modo significativo.

Un modo in cui, secondo gli esperti, SARS-CoV-2 potrebbe avere accesso al cervello è passando attraverso la mucosa olfattiva, il rivestimento della cavità nasale, che confina proprio con il cervello. È frequente trovare il virus nella cavità nasale, uno dei motivi per cui gli operatori sanitari effettuano i test per COVID-19 ricorrendo al tampone nasale.

Anche se così fosse, “nel cervello non c’è una tonnellata di virus”, commenta Spudich, coautrice di una revisione di autopsie e altre testimonianze pubblicata on line in aprile.

Ma questo non significa che non stia infettando assolutamente alcuna cellula cerebrale.

Oggi alcuni studi suggeriscono che SARS-CoV-2 possa infettare gli astrociti, un tipo di cellula che nel cervello abbonda e ha molte funzioni. “Gli astrociti fanno molte cose a sostegno della normale funzione cerebrale”, compreso fornire nutrienti ai neuroni affinché continuino a funzionare, spiega Arnold Kriegstein, neurologo all’Università della California a San Francisco.

In un preprint diffuso a gennaio, Kriegstein e colleghi hanno riportato che SARS-CoV-2 infetta preferibilmente proprio gli astrociti, rispetto ad altre cellule cerebrali. I ricercatori hanno esposto al virus alcuni organoidi cerebrali (strutture simili a cervelli in miniatura, ottenute in laboratorio a partire da cellule staminali): tra tutte le cellule presenti, SARS-CoV-2 ha infettato quasi esclusivamente gli astrociti.

A sostegno di questi studi di laboratorio, un gruppo di cui fa parte Daniel Martins-de-Souza, a capo del settore di proteomica all’Università di Campinas in Brasile, ha riportato in un preprint diffuso a febbraio di aver analizzato campioni cerebrali di 26 individui deceduti ammalati di COVID-19. Nei cinque soggetti i cui cervelli erano infettati da SARS-CoV-2, il 66 per cento delle cellule colpite erano astrociti.

Secondo Kriegstein, gli astrociti infetti potrebbero spiegare alcuni sintomi neurologici associati a COVID-19, in particolare l’affaticamento, la depressione e la “nebbia cognitiva”, che include confusione e smemoratezza. “Sintomi di questo tipo possono non essere il riflesso di un danno neurologico, ma potrebbero indicare disfunzioni di qualche tipo. Ciò potrebbe essere in linea con la vulnerabilità degli astrociti.”

Gli astrociti potrebbero essere vulnerabili anche se non sono stati infettati dal virus. Uno studio pubblicato il 21 giugno ha confrontato i cervelli di otto pazienti con COVID-19 deceduti con i cervelli di 14 soggetti di controllo. I ricercatori non hanno trovato alcuna traccia di SARS-CoV-2 nei cervelli delle persone infette, ma hanno scoperto che l’espressione genica era stata compromessa in alcuni astrociti, che non stavano funzionando correttamente.

Dopo tutte queste scoperte, gli scienziati vogliono sapere quante cellule cerebrali devono essere infettate o danneggiate per causare sintomi neurologici, commenta Ricardo Costa, fisiologo alla Louisiana State University Health a Shreveport, il cui gruppo sta studiando gli effetti di SARS-CoV-2 sulle cellule cerebrali.

Sfortunatamente, è probabile che non ci sia una risposta semplice, commenta Kriegstein, sottolineando che le cellule, se danneggiate (neuroni compresi), causano più disfunzioni in alcune regioni del cervello che in altre.

Un blocco del flusso sanguigno
Si sono anche accumulate prove a sostegno del fatto che SARS-CoV-2 può colpire il cervello riducendo il flusso del sangue che vi è diretto, danneggiando le funzioni dei neuroni e finendo per distruggerli.

I periciti sono cellule che si trovano attaccate ai piccoli vasi sanguigni, i capillari, in tutto il corpo, cervello compreso. Un preprint di febbraio ha riportato che SARS-CoV-2 poteva infettare cellule affini ai periciti negli organoidi cerebrali.

Ad aprile, il gruppo di David Attwell, neuroscienziato all’University College London, ha pubblicato un preprint che dimostrava come SARS-CoV-2 può influenzare il comportamento dei periciti. I ricercatori hanno osservato che, in fettine di cervello di un criceto, SARS-CoV-2 blocca il funzionamento di recettori situati sui periciti, provocando una costrizione dei capillari nel tessuto. “In effetti, si tratta di un effetto notevole”, commenta Attwell.

E secondo Spudich questo studio è “davvero fantastico”. “Potrebbe trattarsi di qualcosa che sta determinando parte dei danni permanenti che osserviamo, alcuni di questi ictus dei piccoli vasi.”

Attwell suggerisce che i farmaci usati per curare l’ipertensione, che implica un restringimento dei vasi sanguigni, potrebbero essere utili in alcuni casi di COVID-19. Due studi clinici in corso stanno investigando gli effetti del farmaco per l’ipertensione losartan per curare la malattia.

Malfunzionamento immunitario
Ci sono anche sempre più prove a favore del fatto che alcuni sintomi e danni neurologici siano il risultato di una reazione esagerata o addirittura sbagliata del sistema immunitario dopo che il corpo ha incontrato il coronavirus.

Negli ultimi 15 anni, spiega il neuroimmunologo del Deutsches Zentrum für Neurodegenerative Erkrankungen di Berlino Harald Prüss, è diventato chiaro che, in risposta a un’infezione, il sistema immunitario di alcune persone crea inavvertitamente “autoanticorpi” che attaccano il proprio stesso tessuto. Questo può causare condizioni di lungo termine; per esempio, la neuromielite ottica, in cui i pazienti mostrano sintomi come la perdita della vista e una debolezza degli arti.

In una revisione pubblicata a maggio, Prüss ha riassunto le prove del fatto che questi autoanticorpi possono attraversare la barriera ematoencefalica e contribuire a disturbi neurologici che vanno da problemi della memoria alla psicosi.

Lo stesso principio potrebbe essere in atto anche nel caso di COVID-19. In uno studio pubblicato l’anno scorso, Prüss e colleghi hanno isolato anticorpi contro SARS-CoV-2 prelevati da alcuni soggetti e ne hanno trovato uno in grado di proteggere i criceti dall’infezione e da danni ai polmoni. Lo scopo era la creazione di nuove cure. I ricercatori, tuttavia, hanno anche scoperto che alcuni degli anticorpi potevano legarsi al tessuto cerebrale, suggerendo la possibilità di danneggiamenti. “Al momento stiamo cercando di dimostrarlo clinicamente e sperimentalmente”, dice Prüss.

In un secondo articolo, pubblicato on line lo scorso dicembre, un gruppo di cui faceva parte Prüss ha studiato il sangue e il liquido cerebrospinale di 11 pazienti molto gravi di COVID-19 che mostravano sintomi neurologici. Tutti producevano autoanticorpi in grado di legarsi ai neuroni. E ci sono prove del fatto che somministrare immunoglobulina (un altro tipo di anticorpo) per via intravenosa ai pazienti per sopprimere l’azione dannosa degli autoanticorpi porta, a detta di Prüss, “a un discreto successo”.

Questi canali – astrociti, periciti e autoanticorpi – non sono mutualmente esclusivi e probabilmente non sono gli unici: è probabile che i pazienti di COVID-19 mostrino sintomi neurologici per una varietà di motivi. Prüss ritiene che una domanda fondamentale riguardi la percentuale di casi provocata da ciascun canale, perché, secondo lui, “questo determinerà la cura”.

- Pubblicità -