Governo, nè veti nè manuale Cencelli, ma responsabilità e generosità

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Non so se il professor Draghi sarà in grado di formare un governo con le caratteristiche indicate dal Capo dello Stato, vale a dire “di alto profilo e che non si identifichi con alcuna formula politica “.

Non so neppure – qualora riuscirà a formare un esecutivo (come tutto lascia presagire) – se si dimostrerà all’altezza del compito di guida di un Paese complesso e gravido di problemi com’è l’Italia.

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Riuscirà a tener fede alla sua fama? Dopotutto, dopo aver conquistato prima la guida della Banca d’Italia e dopo quella Banca Centrale Europea, Mario Draghi è riuscito a difendere il nostro Paese da un possibile default, e ha salvato l’euro…

Quindi, a mio giudizio, le forze politiche farebbero bene, piuttosto che attardarsi a porre veti sull’opportunità dell’ingresso nell’esecutivo del partito x o del partito y, o ad invocare il manuale Cencelli nella distribuzione degli incarichi di governo, o ad investire sulle capacità del premier incaricato, sul suo prestigio, sulle sue robuste relazioni internazionali e sulle competenze professionali che potrebbe coinvolgere e mettere in campo.

Paragonare la soluzione Draghi all’esperienza del governo Monti, come si ostinano a fare quanti guardano a questa ipotesi con diffidenza o ostilità, è del tutto sbagliato.

Perchè non solo i paragoni di questo tipo sono spesso fuorvianti, ma soprattutto perché sono del tutto diversi i contesti storici.

Monti fu chiamato al governo nel 2011 perché serviva ad arginare la rincorsa dello spread arrivato a 560 punti base, mentre Draghi viene chiamato per costruire con professionalità, competenza e lungimiranza il futuro sanitario, economico e sociale dell’Italia.

Infatti il primo fu chiamato per tagliare la spesa pubblica – così come ci veniva richiesto dagli organismi europei, il secondo, invece, viene chiamato per utilizzare al meglio i 219 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa. Una somma ingente, più del doppio di quella messa a disposizione dell’Italia nel 1948-1951 dal mitico Piano Marshall (89 miliardi di euro in valore corrente).

Proprio per questo penso che la missione del governo Draghi- se nascerà -non sarà basata sull’austerità, bensì sulla crescita e sullo sviluppo. Non credo dunque, come temono alcuni, che sarà il premier della patrimoniale o l’autore di una manovra lacrime e sangue – che potrebbe cancellare con un semplice tratto di penna il reddito di cittadinanza, quota cento e i ristori.

Penso, invece, che nell’immediato, oltre a concentrarsi a risolvere alcune questioni connesse alla disponibilità del vaccino – perché sa che senza vaccino non ci sarà ripresa e sarà a rischio la tenuta sociale; punterà soprattutto sugli investimenti e non sui sussidi fini a se stessi.

Perché è convinto – l’ha ricordato lui stesso all’ultimo Meeting di Rimini – che soltanto il debito buono può aiutare a creare posti di lavoro e a spingere l’economia.

Il Professore Draghi, benché sia capitato in un momento davvero difficile (in mezzo ad una pandemia che continua a seminare morte e incertezza sul futuro) penso che possa riuscire a mettere l’Italia sul binario giusto.

Perché sa che siamo un grande Paese, la seconda manifattura in Europa, la prima per qualità di prodotto nel mondo, con un altissimo tasso di risparmio e con un tessuto di piccole e piccolissime imprese che sono state e possono continuare ad essere il cuore e l’anima del made in Italy.

Ecco perché oggi occorre, da parte di tutti, mettere al centro il bene comune, come seppero fare nel dopo guerra De Gasperi e Togliatti quando si incontrarono, si parlarono e dettero vita a un governo di unità nazionale.

Anche se allora le distanze tra i loro partiti erano enormi fecero prevalere il senso di responsabilità e la loro generosità verso il Paese. Quindi c’è da augurarsi che nessuna delle forze in campo decida di stare in panchina.

Purtroppo non aiutano a creare un afflato comune le dichiarazioni di chi vuole intestarsi il merito dell’operazione Draghi, e di chi vuole tirarlo per la giacchetta; non solo perché denotano un deficit di cultura istituzionale, ma anche perché possono produrre l’effetto di allontanare qualche forza politica.

Non so se il premier incaricato sia la “polizza assicurativa” del nostro futuro, come sostiene qualcuno, quello di cui sono profondamente convinto è che rappresenta un’opportunità per l’Italia, e che abbiamo bisogno di uno sforzo corale da parte di tutti. Anche degli estimatori più accaniti del presidente Conte e di quelli che ancora non riescono comprendere l’insensatezza della manovra politica che l’ha scalzato dalla tolda di comando.

Al presidente uscente, a prescindere dagli errori che può aver fatto negli ultimissimi mesi, va dato il merito di aver fronteggiato il virus meglio di tanti altri leader europei; di aver aiutato i 5/Stelle a diventare affidabili agli occhi dell’Europa, di essere riuscito a portare i 209 miliardi del Recovery Fund in Italia. E scusate se tutto ciò è poco.

Salvatore Bonura.

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