Nel Mezzogiorno, anche a causa del Covid-19, diminuiscono il prodotto interno lordo e l’occupazione, in particolare quella femminile; aumentano, invece, la povertà, la distanza con il resto del Paese sia in termini di infrastrutture materiali e immateriali, sia in termini di opportunità di lavoro e di business per le imprese, nonché il numero delle società che si occupano di prestiti personali al di fuori del sistema bancario e delle agenzie di prestiti su pegno.
Ciò, nonostante il calo complessivo di 55 mila imprese nei primi 10 mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Gli incrementi più significativi delle anzidette società si registrano nel Sud: +29% in Campania, +18% in Puglia, +17% in Calabria, +6% in Sicilia. C’è da dire, a scanso di equivoci, che si tratta di società regolarmente iscritte alle Camere di commercio. E tuttavia secondo LIBERA – l’Associazione guidata da don Ciotti – “si tratta di settori in cui potrebbero insinuarsi attività illegali”, e non a caso, evidenzia ancora l’Associazione, in concomitanza con la pandemia sono aumentate le interdittive antimafia, quasi 6 al giorno per un totale di 1.637 finora, +6,7% rispetto al 2019.
Un allarme assolutamente fondato, in considerazione del fatto che sono cresciuti i crimini informatici, le frodi e i furti di credenziali, le società costituite al solo scopo di entrare nel business delle forniture di dispositivi di protezione individuale. Solo l’usura resta un’attività esercitata negli ultimi 10 anni da 54 gruppi mafiosi. Un’analogo allarme era stato lanciato qualche settimana prima dalla Confcommercio nazionale, che ha parlato di un grande rischio al Sud dove nel mirino degli usurai ci sarebbero già circa 40 mila imprese del comparto turistico-ricettivo, debilitate da un crollo del volume d’affari del 37,5%, determinato dalla mancanza di liquidità e dalle difficoltà di accesso al credito, dai costi sostenuti per l’adeguamento alle norme sanitarie e per gli adempimenti burocratici.
Che ci sia un pericolo concreto lo testimonia anche il blitz di ieri operato dai Carabinieri di Roma, conclusosi con l’arresto di 7 persone coinvolte in un giro d’usura con tassi di interesse usurari tra il 150 ed il 500% su base annua.
È vero, il Governo con i vari Dpcm e con le risorse finanziarie stanziate ha cercato di alleviare le sofferenze di quelle imprese che sono state costrette a chiudere le attività o a ridurre gli orari di apertura, evitando così di farle cadere nelle braccia degli strozzini. Ha garantito, nel contempo, la cassa integrazione ai loro dipendenti. Ma gli aiuti previsti a favore delle piccole e medie imprese e delle partite Iva, a partire dai prestiti garantiti al 100% fino a 30 mila euro, hanno raggiunto solo una parte delle imprese e dei lavoratori autonomi.
Tanti non hanno potuto accedere a questa possibilità: alcuni perché impediti da scadenze con le banche, non onorate a causa della crisi dalla quale il Mezzogiorno non è mai uscito, altri perché non se la sono sentita di accollarsi un ulteriore debito non sapendo come restituirlo, altri ancora perché non avevano diritto al prestito perché le loro attività sono in nero. La platea degli abusivi è molto ampia, soprattutto al Sud.
Di fronte al rischio che decine di migliaia di famiglie e di piccoli imprenditori siano preda degli strozzini occorre che le misure di sostegno al reddito e i ristori arrivino ai destinatari ora e subito; garantire piccoli prestiti (1.000-10.000 euro) a famiglie e lavoratori autonomi non bancabili, particolarmente fiaccati dagli effetti della pandemia sull’economi, a tasso zero e da restituire in 5-6 anni; sostenere con misure concrete chi vuole uscire dal sommerso e sceglie la legalità; aprire i cantieri delle grandi opere – assolutamente propedeutici a far ripartire i consumi – per le quali sono state varate appositamente le norme sulla semplificazione.
Insomma, se non si vuole darla vinta ai cravattari, occorrono meno chiacchiere e più fatti concreti.