Lunedi 16 giugno alle ore 9.00 oltre 3.000 commercialisti hanno inviato una pec al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro di Giustizia, al Ministro dell’Economia, al Ministro degli Interni, esprimendo la propria indignazione per la grave ed insostenibile situazione che stanno vivendo.
Si sono chiamati quelli del “Flashmob – basta un click”.
Nessuna sigla sindacale, nessuna bandiera.
Semplicemente, hanno così manifestato il disagio che da tempo pervade le fila operose di una categoria che da sempre lavora nell’ombra, lasciando per una volta esplodere quel malcontento che serpeggia tra le righe di una fiscalità ormai scappata di mano a legislatori ed interpreti, cercando di colpire una politica che non ascolta.
Cosa vogliono? Cosa denunciano? Nulla di speciale, invero.
Quello che è sotto gli occhi di tutti, quello che non può non essere alla portata di ciascuno di noi, senza bisogno di essere tecnici o professionisti: un tessuto economico alla deriva, devastato da politiche qualunquiste e miopi, ed affossato da un sistema fiscale allo sbaraglio, preda della instabilità di una politica serva dell’effimero consenso pre-elettorale di masse di elettori disperati.
Un sistema fiscale che fa scappare i veri imprenditori in Paesi dove questo delirio non è quotidianità, dove è possibile una programmazione di medio periodo, senza che continui decreti ridiscutano continuamente le premesse del fare.
Un sistema di tasse, imposte e balzelli che costa e pesa sulle tasche degli imprenditori vessati in termini di cash flow di organizzazione e di stress, più di un socio di maggioranza esigente ed intransigente.
Cosa c’è di nuovo in tutto questo?
Niente, o forse tutto! Forse, solamente, questa volta la misura è colma: da una parte una burocrazia elefantiaca e faziosa, da sempre sottostante il minuzioso e continuo lavoro dei commercialisti, dall’altra una pioggerellina costante di scadenze quotidiane, al centro questa emergenza sanitaria globale che ci ha chiusi tutti in casa.
Ed ecco che, all’improvviso, il momento talmente fragile e delicato porta all’attenzione di tutti fatti noti, che divengono inaspettatamente importanti.
L’economia italiana è in ginocchio.
Lo era già da un po’ e questi mesi di forzata inoperosità non hanno migliorato le cose.
La cassa integrazione ha imposto a troppe persone la mera sussistenza.
Il 30 giugno è prevista una “potenza di fuoco”, per parafrasare un’espressione usata dal premier Conte in conferenza stampa, ma all’incontrario, rispetto a come lui l’aveva immaginata: scadono oltre i consueti termini per il versamento delle imposte, pure quelli che si sono assommati per effetto delle proroghe.
Il che, tradotto in termini operativi, significa: elaborazione di tutte le dichiarazioni dei redditi, attività che è nelle corde del commercialista, e che sa far bene, e da anni, se non fosse per le continue variazioni di valutazioni ed appostazioni delle varie leggi di bilancio; se non fosse che il tutto è calato in mezzo ai tentativi di aiutare i nostri imprenditori a recuperare qualche denaro per mezzo di molteplici click day (bonus inps, cig in deroga, fondo perduto, per citarne alcuni, a carattere nazionale) e calcoli di confronto di fatturati vari, tutti con diverse basi imponibili, per estrapolare crediti di imposta di cui far godere sempre loro, che vanno assolutamente aiutati in questo momento difficile (locazioni, sanificazioni, e misure puntuali per iscritti a casse private ed altro ancora che diventa noioso ed inutile ai fini della trattazione qui ricordare); senza dimenticare l’ordinaria amministrazione: iva, contabilità, pratiche di varia natura.
Qualcosa è stata spostata, di 20 giorni, poi sarà spostata ancora, forse fino a settembre.
Ma si può vivere così, in questa altalena di scadenze ballerine, che non danno mai certezza della contezza di cassa, del lavoro urgente?
La “potenza di fuoco” colpirà, è vero, ma le imprese ed i professionisti, mettendoli in ginocchio con le mani dietro la schiena.
E sarà fatale.