La proposta della Commissione europea di emettere obbligazioni sul mercato fino a 750 miliardi di euro per fronteggiare la crisi economica causata dal coronavirus, di cui 500 a fondo perduto (vincolati a riforme e investimenti concordati con Bruxelles) e 250 in prestiti a lungo termine (garantiti dal bilancio europeo e dagli Stati membri) è una scelta coraggiosa e senza precedenti. Una scelta che rappresenta una vera e propria svolta, un passo avanti verso un’Europa più integrata e solidale.
L’Italia è il paese che da questa proposta trarrà il maggiore beneficio, perché otterrà 172,745 miliardi di euro: 90,938 miliardi in prestiti e 81,807 in sovvenzioni, vale a dire a fondo perduto. Seguono la Spagna con 140,466 miliardi (77,324 in sovvenzioni e 63,122 in prestiti), la Polonia con 63,838 miliardi (37,693 in sovvenzioni e 26,146 in prestiti), la Francia con 38,772 miliardi di euro di sole sovvenzioni, la Grecia con 31,772 miliardi (22,562 in sovvenzioni e 9,436 in prestiti), mentre la Germania avrebbe 28,6 miliardi di sovvenzioni.
La strada per ottenere queste risorse, per cominciare ad incassare i primi assegni, però, è ancora lunga e impegnativa, perché la proposta della Commissione europea per essere approvata e diventare operativa richiede il consenso unanime dei 27 Paesi, e alcuni di questi, tra cui l’Olanda, hanno fatto capire che si aspettano modifiche.
Ma dando per scontato che tutto fili liscio, che si superino le resistenze di Olanda, Svezia, Austria e Danimarca, l’Italia dovrà dimostrare di saper fare i compiti a casa, vale a dire quelle riforme e quegli investimenti che si concorderanno con L’Europa. Anche se non c’è nessuna Troika in vista, l’accesso alle risorse è subordinato a principi e controlli ex post che non vanno sottovalutati. La digitalizzazione e l’innovazione tecnologica; la semplificazione amministrativa per sbloccare investimenti e cantieri; la green economy e i trasporti; la riforma della giustizia per ridurre i tempi dei processi; istruzione e ricerca, turismo e cultura, sono i capitoli (tutti ancora da scrivere) di un possibile progetto anticipato dal Presidente del consiglio alla Signora Ursula von der Leyen.
Un progetto in linea di massima condivisibile, perché si collega ai tre criteri di valutazione enunciati dagli organismi europei, che sono: le sfide indicate dalle raccomandazioni Ue del semestre europeo; il rafforzamento del potenziale di crescita, resilienza e coesione; la transizione verde e digitale.
Per quando riguarda le procedure da seguire per incassare i soldi, si può dire che i progetti di investimento che si dovranno presentare dovranno avere, oltre a una loro precisa e argomentata posta finanziaria, anche le scadenze per la loro attuazione. Dopodiché Bruxelles adotterà un atto di esecuzione a cui seguirà un passaggio degli Stati.
Come accennavo, gli esborsi del Recovery Fund saranno erogati in “tranche“ e saranno soggette alla realizzazione degli investimenti e/o riforme: questo comporta la necessità di prendere prima le decisioni che li rendono possibili. Sono previsti anche indicatori specifici di risultato con relativo impatto delle misure; ciò per fare in modo che il completamento degli obiettivi sia fissato come condizione per ricevere i soldi.
Altro principio cardine da seguire consiste nel fatto che viene fissato un tempo massimo di 7 anni per gli investimenti e 4 anni per le riforme. Se gli impegni assunti non saranno attuati in modo soddisfacente, il contributo sarà sospeso in tutto o in parte.
“Certo, che se non si fanno gli investimenti ė difficile dare soldi“, ha tuonato il vice-presidente dell’Unione europea, Dombrovskis. Ecco perché non vanno presi sottogamba i principi e i controlli che regolano l’accesso alle risorse del Recovery Fund.
Grazie alle tre reti di difesa giå definite a livello europeo che sono: i prestiti del MES (36 miliardi di euro); i contributi della Ue per la Cassa integrazione (15-20 miliardi di euro che dovrebbero arrivare a giugno inoltrato); i fondi della Bei (Banca europea per gli investimenti) per le imprese (30-35 miliardi di euro), potrebbero essere in gioco per il Belpaese qualcosa come 254-264 miliardi di euro. Una pioggia di miliardi che potrebbe consentire di recuperare il ritardo accumulato nel campo delle infrastrutture materiali e immateriali, di correggere gli errori e le sottovalutazioni fatti nella sanità, di ammodernare la pubblica amministrazione e la giustizia, di ridurre la distanza che separa il Sud dal Nord Italia.
Considerato, però, che il grosso di queste risorse arriverebbero il prossimo anno, sarebbe opportuno valutare seriamente la possibilità di attingere ai fondi del Mes (36 miliardi che si possono prendere subito, senza sottostare a nessuna condizione), evitando di farsi frenare da tabù ideologici.
Di fronte a queste possibilità ė indispensabile che la politica (quella che ė al Governo e quella che è all’opposizione) recuperi subito quella dimensione della concretezza, propria della politica con la P maiuscola, che da troppo tempo viene sacrificata sull’altare del clientelismo e del tornaconto elettorale. Rimettere in moto il Paese oggi ė possibile a condizione, però, che tutti facciano la loro parte compresi il sindacato, le forze imprenditoriali e le tante intelligenze di cui disponiamo, che non vanno solo informati sulle scelte da fare ma coinvolti nella costruzione di un progetto di salvezza e di rilancio nazionale.