Cesarò, il Capodanno amaro di Bacco srl: "Noi costretti a lasciare un capannone, così muore un sogno"

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CESARO’ – “Hai mai fatto un trasloco per casa?”. “Sì.”. “Hai presente il casino che c’è?”. “Sì.”. “Ecco, pensa a quello moltiplicato per mille. Sotto la neve, e sotto le Feste”.

Claudio Luca la mattina del 30 dicembre è in ufficio per coordinare l’esodo di parte della sua azienda, la Bacco srl, dal Comune di Cesarò. Una migrazione di uomini e mezzi che servono a produrre le bontà al pistacchio che hanno addolcito le nostre cene natalizie, e si preparano ad allietare anche quella di Capodanno. Per Luca e la sua squadra, invece, domani non ci saranno brindisi. Solo tanta amarezza, e la consapevolezza che in questa storia c’è qualcosa di sbagliato.

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Ed eccola, la storia. “Qualche anno fa, quando l’azienda ha cominciato a crescere, abbiamo preso in affitto un capannone nella zona artigianale di Cesarò – spiega il titolare di Bacco – Abbiamo fatto i lavori, collegato acqua e luce, gas e illuminazione esterna, investito un sacco di soldi. Abbiamo attivato una zona artigianale di fatto mai entrata in funzione, pagando l’affitto con un contratto ventennale. Tempo dopo, visto che continuavamo a crescere, abbiamo chiesto al Comune di poter sistemare e utilizzare anche un secondo capannone, pagando anche qui l’affitto. Questo secondo spazio ci è stato concesso temporaneamente, con la promessa che non ci sarebbero stati problemi. Anche perché eravamo e siamo l’unica azienda interessata a sfruttarlo”.

E arriviamo al punto. La concessione temporanea scade il 31 dicembre. Ma invece di rassicurazioni sul futuro, nei giorni scorsi è arrivata la richiesta di liberare il secondo capannone. “Noi abbiamo fatto sei manifestazioni di interesse, negli anni, per ottenere questo spazio – dice Claudio Luca – Non abbiamo mai avuto risposta. Se ci avessero detto che non era possibile averlo avremmo cercato per tempo un’altra soluzione”. Ma questo preavviso non c’è mai stato. “E io i ragazzi dove li metto? Forse quello che non è chiaro e che qui non si fa un dispetto a me o all’azienda, si fa un danno alla comunità. E invece pare che si giochi”.

Chi fa impresa, spiega il fondatore di Bacco, non gioca. “Noi paghiamo due affitti, diamo lavoro a oltre cinquanta persone, creiamo un indotto straordinario per la comunità. In questi anni oltre quattro milioni di euro sono ricaduti sul territorio di Cesarò da parte della nostra azienda. Una realtà giovane, che impiega all’ottanta per cento donne, che fa impresa 4.0. Ma tutto questo sembra non avere valore. Da un momento all’altro, senza motivo ostativo, la concessione ci viene ritirata. Senza darci il tempo di prendere contromisure, costringendoci a smobilitare metà azienda sotto le Feste. Non c’è una ragione logica per questo comportamento. Perché un sindaco e un’Amministrazione devono comportarsi così?”.

E la domanda ne innesca delle altre. Sul senso di una sfida che Claudio Luca ha sempre raccolto, ma che oggi per la prima volta sente di perdere. “Con il senno di poi devo pensare che abbiamo sbagliato – dice – Quando abbiamo scelto di venire a Cesarò, contro qualsiasi logica, credendo che in questo territorio si potesse fare impresa, che non ci fossero solo mafia e delinquenza, abbiamo fatto una scommessa. E i numeri ci dicono che l’abbiamo vinta. Cresciamo in doppia cifra ogni anno, impieghiamo tante persone, formate e inserite nel mondo del lavoro grazie a noi. Nel 2017 siamo stati premiati dal Financial Times come fattore di crescita, più dell’hi tech, dell’elettronica, della farmaceutica. Se tutto questo non conta nulla, che ci stiamo a fare?”.

“Spero fino all’ultimo nel miracolo – prosegue il titolare di Bacco – Ma non per me, per i ragazzi. Persone che lavorano con noi da tanti anni. Come posso dire ad un padre o una madre di famiglia con un mutuo sulle spalle di andare a casa?”. Una domanda che fa tremare le gambe, sopratutto nel periodo dell’anno in cui le famiglie si stringono intorno alla sicurezza di un lavoro, di una casa, di un domani lieto. E subentra la rabbia. “In questo momento mi viene da pensare che non c’è speranza per la Sicilia, sopratutto per questi piccoli paesi. Sopratutto quando si incontra un certo tipo di mentalità difficile da scalfire. Poi si capisce perché in tanti anni sono nate così poche imprese sul territorio”.

Ma adesso, nonostante tutto, c’è da pensare al domani. Coordinare l’esodo dell’azienda, la migrazione di uomini e mezzi che servono a produrre le bontà al pistacchio che allietano le nostre tavole. Poi calcolare l’impatto che una decisione incomprensibile avrà sul territorio. “Qui si genererà una crisi occupazionale, lo abbiamo scritto alle Prefetture di Catania e Messina – conclude Claudio Luca – Lotteremo con tutte le nostre forze, è nostro diritto lavorare e farlo bene com’è nostra abitudine. Oggi sta morendo un sogno. E noi, nonostante tutto, non vogliamo che accada”. 

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