CATANIA – La CGIL e la FILLEA di Catania, analizzando i dati emersi dal dossier sull’abusivismo nel periodo 2009/2017 reso noto dal dipartimento regionale dell’Urbanistica della Regione Sicilia, evidenzia dati sconfortanti, relativi alle classifiche ed ai primati occupati dalla provincia di Catania.
Catania, seconda città per popolazione residente (1.107.232), si piazza al primo posto per incidenza del numero di casi di abuso (1.487 il 23%).
Va meglio nella classifica della cubatura media che la vede al 4° posto, con una percentuale dell’11%. Basti pensare che per ogni abitante residente, si calcola 1,24 metro cubo di abuso. Tra i rapporti che i tecnici dell’assessorato hanno preso a riferimento, c’è anche quello fra metri cubi di abuso e numero di residenti, in modo che dai calcoli emerga come i comuni con un minor numero di residenti superano i centri più grandi.
Nello specifico dei comuni della provincia di Catania, sulla base delle diverse classifiche, si osserva che i Comuni con volumetria maggiore di abusi sono Belpasso, Catania, Paternò, Misterbianco e Biancavilla; tra quelli con il più alto numero di abusi troviamo sempre Catania, Paternò e Belpasso, insieme ad Acireale e Bronte. Tra i comuni con maggiori metri cubi di abusi per abitante, al primo posto si trovano Castiglione di Sicilia, sempre Belpasso, Raddusa, Maniace e Biancavilla. Per quanto riguarda la classifica sul numero di abusi, al primo posto si colloca Catania, mentre nella classifica della volumetria, relativa cioè ala dimensione totale degli spazi in cui si è costruito in maniera abusiva, la maglia nera va a Belpasso, seguita da Catania, Paternò e Misterbianco.
Al di là del dato statistico così strutturato, se si guarda al volume totale delle opere abusive, (mc.392,97) ed al numero dei casi registrati (6.048), si comprende come, ancora oggi, l’abusivismo sia un fenomeno fortemente presente nel tessuto territoriale ed ambientale catanese.
Le due sigle esprimono “preoccupazione per le alte percentuali di abusivismo dietro cui si celano, in primo luogo, i problemi legati alla qualità degli immobili e dunque alla sicurezza delle strutture, all’abuso di suolo e condizioni di cattiva salubrità ambientale e più in particolare l’ inadeguatezza strutturale degli edifici e le reti fognarie approssimative e scollegate.
In secondo luogo, i dati rivelano problemi di trasparenza sugli investimenti che hanno consentito la costruzione e la dubbia liceità dei capitali che hanno consentito le edificazioni abusive, senza contare l’uso del lavoro nero”.
Per CGIL e FILLEA, “mentre si tenta di stabilire e far rispettare regole, come avviene anche a Catania, dove la commissione consiliare urbanistica ha licenziato con parere favorevole il documento che contiene le direttive generali per il Piano regolatore del Comune ed ha quindi segnato un importante passo verso l’approvazione definitiva del PRG atteso da almeno 50 anni, c’è una terra di mezzo che ancora oggi vede muovere impunemente speculatori e faccendieri, che spesso abusano della buona fede di chi ha bisogno di un tetto per vivere. Il riferimento è anche alle periferie e alla lunghe liste di attesa per le case popolari”.
CGIL e FILLEA di Catania, si augurano dunque che il Piano di riforma urbanistica siciliano, atteso da ben 41 anni, ed in discussione all’ARS, possa rappresentare una vera e propria riforma di sistema con una nuova impostazione del governo del territorio.
“Appena possibile valuteremo il documento redatto dal Dipartimento urbanistica. Alcuni obiettivi preannunciati vanno in direzione delle richieste e delle idee della CGIL sulla riqualificazione degli immobili già costruiti del loro riutilizzo e quindi contro l’ulteriore consumo di suolo; inoltre la rigenerazione di ambiti urbani degradati ed il recupero dei centri storici – si legge nella nota ufficiale diffusa dalle due sigle – La partita relativa alla semplificazione per abbreviare i tempi di approvazione dei piani regolatori, è un obiettivo importante ma da verificare nel momento in cui verrà affidato ai singoli Comuni la quasi totale responsabilità delle scelte. C’è da chiedersi come reagiranno in tal senso i Comuni in dissesto e in pre dissesto”.
Ancora, per i sindacati tutta la tematica relativa al rischio sismico ed al dissesto idrogeologico, deve avere un ruolo centrale e deve essere affrontata in maniera sistemica, con una programmazione di lunga durata che non può che interessare almeno un ventennio. Infine l’accenno allo sviluppo delle aree interne deve essere concretizzato dal finanziamento di progetti sulla mobilita, sui presidi territoriali sanitari e sulla presenza delle scuole. Tutti progetti presentati attualmente dalle SNAI e bloccate proprio dal governo regionale.
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