Nella stanza dello psicologo. Quando l'altro che soffre viene disumanizzato anche dalle immagini

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Quando parliamo di migranti, le prime parole che escono dalla bocca sono sempre parole che veicolano paura, fastidio, timori e preoccupazioni. E’ sorprendente, che anche persone tradizionalmente di sinistra o cattoliche, si lasciano andare con frasi del tipo “Però non li possiamo accogliere tutti”, “Dove si devono mettere tutte queste persone?”, “Non c’è lavoro per noi, figuriamoci per loro”, “Gli altri stati non se li prendono”, fino ad arrivare  alle frasi marcatamente xenofobe che conosciamo ormai tutti, del tipo “Se vuoi aiutarli portali a casa tua”, “Sono sporchi”, “Prima gli italiani” ecc.

Sembra quindi che il fenomeno dei migranti, oltre alle posizioni intolleranti appartenenti a una certa cultura di destra, susciti anche tra i più moderati frasi del genere, giustificandole in nome di un “buon senso” o di una mancata collaborazione tra Stati europei. Dopo aver ricordato queste frasi, che sicuramente ognuno di noi almeno una volta avrà pronunciato, vorrei soffermarmi su un fenomeno che ha destato in me alcune riflessioni.

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Scene di incidenti o catastrofi che coinvolgono singole persone suscitano in chi le guarda sentimenti di pena e solidarietà nei confronti delle vittime. Invece, se assistiamo a scene che mostrano immagini di barche piene di naufraghi migranti, in cui ci sono anche donne e bambini, ebbene davanti a queste immagini, la maggior parte delle persone rimane indifferente a tanta sofferenza. Per comprendere meglio questa dinamica, suggerisco un interessante studio psicologico e sociale, condotto da Manoe Tsakiris, Ruben T. Azevedo, Sophie De Beukelaer, Isla Jones, Lou Safra, dal titolo When the lens is too wide: the visual dehumanization of refugeesand its political consequences, pubblicato su una prestigiosa rivista di psicoanalisi.

La ricerca pone l’accento sulla disumanizzazione visiva dei rifugiati, ed emerge che la visione d’immagini di grandi gruppi di persone, nello specifico barconi in mare aperto pieni di migranti, non suscita negli spettatori nessun sentimento di compassione, di tenerezza, o di colpa, andando addirittura a inibire ogni comportamento pro-sociale volto all’accoglienza, mentre i piccoli gruppi verrebbero invece percepiti come più umani.

Secondo un mio punto di vista, le immagini disumanizzanti di grandi gruppi di persone, andrebbero anche a ingigantire la percezione del fenomeno migratorio, contribuendo a creare un linguaggio molto diffuso fatto di parole vuote. Da questo studio è emerso inoltre che, dopo aver visto immagini di grandi gruppi di migranti, il campione dei partecipanti, ha espresso una netta preferenza per un leader politico forte e dominante, capace di bloccare i fenomeni migratori. Un leader cinico, spietato, che a mio modo di vedere e parafrasando Bakunin, protegge solo i suoi cittadini, e solo entro i suoi confini riconosce diritti, umanità e civiltà.             

Per ulteriori approfondimenti puoi scrivere una mail, o chiedere un consulto al seguente indirizzo: Silvestro Lo Cascio, psicologo e psicoterapeuta, mail siloc14@yahoo.it

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