La banalità del male ha imparato a usare lo smartphone

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Le feste appena finite lasciano l’amaro in bocca, un disgusto, una rabbia, un senso d’impotenza di fronte a tanta violenza gratuita che si è consumata durante queste giornate. A segnare macchiare le vacanze pasquali sono stati in particolare due casi di cronaca, avvenuti in posti diversi ma paralleli su rette violente che sembrano non trovare nessuna fine. Ma andiamo per ordine.

Il 23 aprile, a Manduria, un centro di circa 30.000 abitanti della provincia di Taranto, un gruppo di ragazzi, tra l’indifferenza della gente, dopo vari mesi di atti di bullismo ai danni di Antonio Stano (preferisco chiamare questa persona per nome, e non definirlo solamente un anziano o un pensionato), sono andati oltre ogni limite, e quei gesti di bullismo e soverchierie dilagano in una violenza incontrollata fino ad arrivare all’uccisione di Antonio. Ovviamente come accade in molti casi del genere, nessuno si era accorto di nulla, e nessuno poteva pensare che dietro al vile divertimento di normalissimi ragazzi potesse germogliare il seme della morte.

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Branco, bullismo, violenza, morte, storia vecchissima ma al passo con i tempi. Infatti, tutto il calvario di Antonio e il divertimento del branco venivano regolarmente filmati con gli smartphone dagli stessi ragazzi per divulgare i video e le foto in rete, o anche condividerle – come ormai si usa fare – nella chat Whatsapp del gruppo, che i bulli avevano denominato paradossalmente “Comitiva degli orfanelli”.

“Orfanelli” direi metaforicamente del padre, o meglio del Nome del Padre, ma non inteso come figura reale e fisica, bensì come Legge, come limite, come interdizione, come divieto. Questi giovani rappresentano gli effetti collaterali di una società dove la figura paterna è evaporata, dove tutto si può fare in nome di un divertimento mortifero e dove non ci sono regole da rispettare. L’altro elemento che emerge, come in ogni altra forma di violenza, è la disumanizzazione della vittima, meccanismo che svuota la persona da qualsiasi identità e tratto umano, riducendola a qualcosa da calpestare, da infangare, da odiare e da distruggere. Vittima che forse continua ancora a essere disumanizzata dai media, quando descrivono Antonio Stano semplicemente come un “anziano”, un “disabile”, continuando ad alimentare forse quell’indifferenza e apatia della gente, che tra una grigliata e un’altra considera il tutto come una semplice ragazzata.

Andiamo adesso all’altro fatto di cronaca avvenuto a Viterbo, dove la violenza questa volta si scaglia contro una donna, per affermare la propria forza fisica e potenza. E dove l’onnipotenza maschile, rafforzata forse dall’appartenenza a un gruppo di estrema destra, ha portato dei militanti di Casapound a violentare una giovane donna con l’inganno, prima invitandola a bere e, una volta isolata, scatenando una violenza inaudita, abusando sessualmente di lei. Una giovane donna malcapitata, che avrebbe potuto essere chiunque: una nostra figlia, sorella, fidanzata, parente o amica. Anche in questo caso, chi ha violentato la ragazza, ha utilizzato lo strumento tecnologico, il telefono, per filmare e fotografare il vile gesto, ricercando anche l’inquadratura perfetta. E come nei concerti, paradossalmente anche durante la violenza sessuale, questi giovani, condividevano le foto e i video nella chat con i loro amici.

Ancora una volta la violenza viene filmata e condivisa come una normale esperienza, per sottolineare al gruppo di appartenenza la propria virilità. Le foto vengono condivise con il gruppo Whatsapp di amici, gruppo al quale appartiene anche il padre di uno di questi ragazzi. Un padre che appena vede le immagini, non fa altro che dire al figlio “butta il cellulare”. Anche in questo caso, come in quello prima descritto, il padre metaforicamente è assente, è amico, e davanti una situazione gravissima consiglia al figlio/amico di buttare il cellulare per eliminare le prove che potrebbero inchiodarlo. Un padre che non rappresenta più la Legge ma un padre con il quale poter addirittura condividere un video del genere senza nessun “pudore”, e la mancanza del pudore è un altra caratteristica che contraddistingue le nuovissime generazioni.

In questa scena di violenza e orrore, gli aguzzini hanno esercitano il controllo e il potere nei confronti della vittima, mettendo in atto il meccanismo sadico delle “3D”: Dread (terrore), Dependancy (dipendenza), Degradation (degradazione). E anche in questo caso, dietro l’indifferenza del gruppo, la vittima è stata trascinata in un clima di terrore, subendo tutte le degradazioni possibili e inimmaginabili.

Per ulteriori approfondimenti sulla tematica trattata, puoi scrivere una mail, o chiedere un consulto al seguente indirizzo: Dr. Silvestro Lo Cascio, psicologo e psicoterapeuta, mail: siloc14@yahoo.it

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