"In difesa di Caino, dalla parte di Abele": l'avvocato Fiumefreddo presenta il suo ultimo libro

- Pubblicità -

CATANIA – Difendere il peccatore senza smettere di tendere alla grazia. Anzi, traendo dal peccato quell’insegnamento che, proprio perché doloroso, può aprire le porte della vera redenzione. Ha il suono di un midrash ebraico il titolo dell’ultimo libro dell’avvocato Antonio Fiumefreddo, “In difesa di Caino, dalla parte di Abele”, Albatros edizioni, presentato oggi pomeriggio alla Cavallotto di Corso Sicilia di fronte ad un vasto pubblico.

Ad accompagnare l’autore l’attore Gino Astorina e il sestetto della Link Young Orchestra con Angelo Di Guardo, che ha impreziosito l’incontro con l’esecuzione di alcuni brani. Come suggerisce il sottotitolo – “Storie di violenza, di sangue, di corruzione e di sfruttamento di uomini verso altri uomini” – il volume si compone di diciotto capitoli che sono altrettanti “casi” incontrati da Fiumefreddo nella propria carriera di avvocato. Storie di uomini e di donne travolti dalla tempesta della vita, e finiti in un gorgo dal quale non hanno saputo – o potuto – uscire.

- Pubblicità -

In quelle ambasce, la figura dell’avvocato diventa preziosa come quella di un angelo, “chiamato a difesa” – come suggerisce l’etimologia del termine – di quella che pur nella colpa resta una persona umana e merita di essere giudicato con equità.  “La difesa è una conquista fondamentale della civiltà – ha rivendicato il penalista catanese nel corso del suo intervento – in tempi di semina d’odio, di cattiveria e di vergogna come quelli che stiamo vivendo, complicati anche dalla violenza cieca della Rete, recuperare l’elemento umano è fondamentale, e la nostra professione dovrebbe guardare anche a questo”. 

Una visione romantica del mestiere? Forse. “Parlando con i giovani, dentro e fuori l’Università, mi sono reso conto che l’avvocatura ha assunto un significato piuttosto negativo – ha proseguito l’autore – l’avvocato come colui che sta dalla parte dei delinquenti, o come il protagonista di una serie crime. Ho scritto per dire che il nostro compito, nell’affiancarci a chi ha sbagliato e porta nel cuore i segni dell’errore, è anche quello di recuperare una dimensione umana e non lasciarci andare a facili giudizi. Per questo ho grandissimo rispetto per il compito dei Giudici, che hanno una responsabilità che mette i brividi”.

Tutto questo, secondo il penalista, conduce ad un’unica considerazione. “Il nostro compito non è quello di giudicare, ma di comprendere – ha detto ancora Fiumefreddo – perché da uomini quali siamo la cosa più importante è capire. Non ho nessun problema a dire di aver imparato qualcosa anche dai criminali, persino da un ergastolano di cui racconto nel libro. In ciascuna di queste persone esiste un’impronta della grandezza dell’uomo, che emerge prepotentemente nella dimensione del dolore. Perché il dolore è democratico, proprio come la malattia. Ecco che in questa dimensione di sofferenza affiora l’umanità, una luce che può venire anche da un recluso”.

Il ragionamento non vuole essere assolutorio, precisa l’avvocato. “Questo non significa che ciascuno non debba scontare la pena – ha detto ancora Fiumefreddo – ma in quegli uomini e donne io vedo una parte di me che sono riuscito a tenere sotto controllo. E questo controllo è dato dalla fortuna, dalla cultura, da Dio, per chi crede. Recuperare una relazione con l’altro, che è un altro me stesso, significa recuperarne l’umanità – ha concluso il penalista – Se ci fosse stata maggiore vicinanza, maggiore empatia, probabilmente avremmo salvato qualche persona in più. Ed è questo che ho cercato di spiegare in questo libro”.

- Pubblicità -