CATANIA – Un viaggio nel concetto di tortura a partire dall’aspetto meno evidenziato del termine. È il tema del primo dei tre seminari universitari organizzati da Amnesty International Sicilia nell’ambito della settimana “Catania è cultura dei diritti”, in corso in città fino al 18 marzo.
Al centro del primo appuntamento, per l’appunto, il concetto di tortura. Un tema caldo delle cronache geopolitiche internazionali, con casi anche eclatanti di sevizie commesse negli scenari caldi del Medioriente ma anche nel civilissimo Occidente. “Fare l’impossibile” è il titolo della relazione di Vincenzo Scalia, criminologo, ricercatore all’Università di Winchester. Secondo l’esperto, introdotto dalla Responsabile di Amnesty Catania Liliana Maniscalco, la rimozione del dolore e delle responsabilità dal singolo possono diventare collettive ed in qualche misura rappresentare l’humus perché un intero stato neghi verità e giustizia.
Dietro il concetto di tortura, infatti, c’è sopratutto la valenza “istituzionale” della stessa, a partire dalla definizione data dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Secondo la Convenzione ONU, infatti, “il termine tortura designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”.
Non mancano i riferimenti alla violenza commessa dalle organizzazioni criminali e nel privato. Ma l’aspetto primario, sottolinea il criminologo, è quello legato alla sopraffazione esercitata da elementi dello stato – sopratutto guardie e poliziotti – che per motivi diversi decidono di fare ricorso alla violenza tentando di farne un deterrente o uno strumento investigativo. Dietro tutto questo, tuttavia, potrebbero celarsi motivazioni ulteriormente inquietanti.
All’origine dei trattamenti crudeli, infatti, potrebbe esserci anche un malinteso spirito di gruppo o la necessità di stabilire una differenza sociale tra i seviziati e gli autori delle sevizie. Un’occasione di approfonfimento su un tema quanto mai attuale, che ancora di recente ha interessato il dibattito giuridico italiano con l’introduzione del reato di tortura.
Prossimi appuntamenti con Amnesty, domani e dopodomani, saranno con i seminari “Crisi umanitarie e diritti umani dagli anni ’90 a oggi”, con Gianni Rufini, Direttore della Sezione Italiana di Amnesty International, e “Negoziare e proteggere nuovi diritti: diritti umani e codificazione del diritto internazionale”, con Francesco Messineo, Legal Officer, Codification, Division, Office of Legal Affairs United Nations.