Dal Sud al Sud del Mondo – Viaggio tra vecchie paure e nuove inquietudini. Terza parte

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Puerto Madryn e il desaparecido Maldonado

L’indomani lasciamo Bahia Blanca e ci dirigiamo verso Puerto Madryn per visitare la Peninsula Valdes e vedere finalmente gli elefanti marini, oltre a leoni marini e pinguini.

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Percorriamo la Ruta 40, la mitica lingua d’asfalto che unisce tutta l’Argentina, da nord a sud; attraversiamo le province di Rio Negro, Rio Colorado e Chubut; ai due lati della strada il paesaggio è quasi sempre lo stesso: qualche cavallo e qualche pecora che brucano nella steppa, gruppi di guanachi che si allontano non appena tentiamo di scattar loro qualche foto, come a sottolineare che non gradiscono la nostra presenza, e un condor enorme che volteggia basso, quasi a sfiorare il tetto della macchina. Lungo il percorso mi colpiscono i tanti altarini dove domina il rosso delle candele e dei drappi che adornano le croci, dedicati al Gauchito Gil, un personaggio leggendario della cultura popolare argentina, non riconosciuto dalla chiesa cattolica, il cui culto é molto diffuso anche in Paraguay.

Nonostante la guida veloce di Nunzio e qualche inconveniente che ci procura una certa inquietudine (per oltre duecentocinquanta chilometri non incontriamo aree di servizio, nè scorgiamo una qualche testimonianza di attività agricole, né riusciamo a collegarci telefonicamente, in quanto quel tratto di strada è privo di qualsiasi connessione), dopo dieci ore arriviamo a destinazione.

Stanchi e affamati cerchiamo un albergo; dopo parecchi tentativi e grazie all’ufficio del turismo ne troviamo uno che non è proprio quello che immaginavamo di trovare, ma tant’è. Ci rinfreschiamo rapidamente, scendiamo nella hall e chiediamo alla ragazza della reception di consigliarci un posto dove mangiar bene: ci indica la cantina el nautico dove, ci dice forse leggendo negli occhi il nostro pensiero, si può mangiare pesce e pasta.

Davanti al ristorante c’è una fila di una trentina di persone che aspettano il loro turno per entrare, chiediamo alla signora dietro il bancone situato all’ingresso del locale se possiamo mangiare un boccone e questa ci risponde  “si, ma c’è da aspettare trenta-quaranta minuti”. Decidiamo di aspettare e nell’attesa andiamo a fare un giro sul lungomare e  ci dedichiamo a fotografare le sculture ricavate dai tronchi degli alberi che rappresentano figure maschili e femminili legate alla mitologia indigena.

Finalmente siamo seduto nel locale. E’ pieno come un uovo, ai tavoli siedono alcune coppie, qualche famiglia e diverse comitive di giovani. In attesa che arrivi la nostra ordinazione, per lenire i morsi della fame, ascoltiamo i telegiornali. Questi riferiscono, tra l’altro, del parere di un gruppo di esperti in base al quale il grande poeta cileno Pablo Neruda non sarebbe morto a causa del cancro, bensì per avvelenamento ordinato dal generale Pinochet; delle manifestazioni contro il governo Maduro in Venezuela e delle difficoltà economiche del Paraguay;  nel frattempo  la comitiva di giovani seduta al tavolo vicino a quello nostro discute animatamente di vicende argentine, in  particolare del precedente governo presieduto da Cristina Kirchner. Alla ex presidente dell’Argentina rimproverano le politiche assistenziali che, a loro dire, avrebbero corrotto le coscienze, e l’eccessivo lassismo verso la corruzione. Uno dei giovani accenna a Santiago Maldonado, l’attivista che sosteneva la causa degli indigeni Mapuche (chiedono il rispetto del loro diritto su una parte delle terre acquistate dal gruppo Benetton), il cui corpo è stato ritrovato qualche giorno prima privo di vita nel fiume Chubut, nella Patagonia centrale. Il giovane insiste dicendo che si tratta di un caso di desaparecidos, gli altri giovani non lo seguono nel ragionamento, anzi lasciano cadere il discorso e cominciano a parlare d’altro… di calcio, della nazionale che si è qualificata ai mondiali.

La notte prendo sonno con difficoltà perché quel riferimento ai desaparacidos mi aveva procurato una certa inquietudine, penso alle trentamila persone fatte scomparire dal regime militare, alle torture che hanno subito, all’angoscia e al dolore delle famiglie.

(la quarta parte del reportage prosegue domani)

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