L’avventura millenaria dell’olivo, considerato simbolo di pace e fecondità inizia con la Bibbia, in particolare col racconto del diluvio universale “…e la colomba tornò da lui (Noè) sul far della sera, ed ecco aveva una fronda novella d’olivo nel becco”. Il crisma, l’olio che fa brillare il volto, appartiene alla cultura ebraica: con esso si ungevano i sacerdoti, i profeti e i re (ricordiamo il re Davide). Il popolo di Gerusalemme accolse Gesù Cristo agitando ramoscelli di ulivo.
L’olio viene usato in parecchi riti religiosi, specie cristiani (battesimo, cresima, estrema unzione). L’albero dell’ulivo è citato nei testi di Omero, rappresentato nei graffiti e affreschi delle tombe in Egitto, nominato nei testi arabi. La pianta dell’olivo, il mitico “ulivo saraceno” ha ispirato i nostri maggiori letterati siciliani, da Pirandello, autore della celeberrima commedia La Giara, a Quasimodo, il quale in pochi versi riesce a rievocare suoni e tradizioni della spremitura “ S’udiva la mola del frantoio/ e il tonfo dell’uliva nella vasca”. Ancora nell’ Almanacco del popolo siciliano di Francesco Lanza leggiamo sotto il mese di Dicembre come “ la raccolta delle ulive è l’ultima gioia della campagna. Chi bacchia si scalda le mani ….Fervono allegri motti e risate, l’uomo accarezza con lo sguardo la donna, e qualcuno mette al fuoco le ulive più grosse e più nere e abbrustolisce fette di pane”.
In tutta la Grecia e le isole circostanti, si hanno riscontri di questa pianta intorno al 1500 a.C. della sua diffusione sono investite anche le colonie greche. Sono i Fenici ad essere particolarmente attivi nella coltivazione e trasformazione dell’olivo selvatico, ne hanno diffuso il commercio e lo chiamavano l’oro liquido.
Secondo la mitologia greca è la dea Atena a piantare il primo olivo, ed il cantore Omero, nei suoi poemi illustra gli svariati usi che dell’olio d’oliva si fanno nel mondo ellenico. I miti raccontano che gli ulivi crescono con il tronco doppio in quanto ciò costituisce un premio divino alla devozione di due umili sposi che lodarono l’albero quando un dio scese dall’Olimpo e li interrogò sulle loro condizioni di vita. Essi dissero: “Con l’ulivo abbiamo quanto ci serve: l’ombra per l’estate, la legna per l’inverno, i frutti per nutrirci, l’olio per condire i cibi e per fare luce“. Sempre in tema mitologico si racconta che Cecrope fu il fondatore di Atene e il primo re dell’Attica.
L’ulivo in Sicilia divenne, assieme al fico, l’immagine stessa dell’Isola. Ad esso i Greci di Sicilia tributavano grande importanza tanto che sradicare anche un solo albero comportava la pena dell’esilio!
È comunque a partire dal XVI secolo che l’olivicoltura in Sicilia, come in tutta l’area del mediterraneo, un notevole sviluppo; l’importanza dell’olivo e dell’olio che se ne ottiene dalla spremitura dei suoi frutti, detti “drupe”, diventa enorme nella storia economica e nella cultura mediterranea.
È il momento in cui si comincia a fare una certa distinzione tra gli oli di oliva: i migliori per l’alimentazione, altri per lavare la lana e per lubrificare le macchine , altri ancora per l’illuminazione, da qui la dizioni olii lampanti e ògliu pi llumi , l’olio usato per alimentare le lucerne. Per quel che riguarda l’uso dell’olio di oliva in medicina, sempre valido è il teorema di Paracelso secondo il quale il miglior medico per gli uomini è la natura. Nella medicina antica e fino all’immediato secondo dopo guerra, l’olio di oliva era impiegato come lassativo ed anti-ulcera, l’olio caldo sulla fronte, invece, se accompagnato da un segno di croce, si riteneva efficace contro il mal di testa e l’emicrania; nella medicina popolare siciliana venivano usate diverse varietà di olio; ricordiamo l’ògliu di ggiurana, olio di oliva nel quale venivano fritte le rane che mescolato col miele veniva usato per curare la scabbia; ògliu di nivi, olio in cui si scioglieva la neve usato per medicare le ferite; ògliu di carta rimedio contro le malattie infiammatorie cutanee come l’impetiggine; ògliu di linusa, olio di linosa usato per le artromialgie.
Chiuderei ricordando alcuni modi di dire quasi relitti antropologici di una civiltà contadina ormai al tramonto: appizzarici l’ògliu e l’opira, sprecare tempo e fatica senza profitto; aviri guai di cani e attacchi d’ògliu, trovarsi in mezzo a guai seri; friirisi cu so propriu ògliu, essere autosufficienti; ‘ù jornu attornu attornu e ‘a sira sciaga l’ògliu, detto di chi per poca voglia non compie il proprio lavoro a tempo debito e lo rinvia a tempi meno adatti all’esecuzione; Di jornu unni vogghiu e a sira spardu l’ogghiu letteralmente Di giorno non ne voglio sapere e la sera spreco l’olio della lampada, si riferisce al non fare le cose quando si deve ; e ancora acqua d’agustu ògliu, meli e mustu, la pioggia che cade nel mese di agosto fa incrementare la produzione di olio, miele e mosto.