Sud stremato, se l'Italia vuole andare in Paradiso deve fare come la Germania

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La legge di Bilancio approvata dal Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi contiene alcune misure certamente significative: lo stop all’aumento dell’Iva che da solo assorbe 15,7 miliardi di euro su una manovra complessiva di 20,4 miliardi; il dimezzamento dei contributi a favore delle imprese che assumeranno giovani disoccupati (per il Sud la decontribuzione è totale); la conferma dei provvedimenti di industria 4.0, destinati alle imprese che investiranno nelle tecnologie che caratterizzano la quarta rivoluzione industriale; la riconferma dell’Ecobonus sui lavori edili, al 50 per cento anziché al 65 per cento.
La misura simbolo della manovra economica – quella sulla quale il governo punta molto per incrementare l’occupazione e per dare un’ulteriore risposta anche al Meridione – è però il dimezzamento dei contributi per le imprese.
Tali misure, che si aggiungono a quelle contenute nel Patto per il Sud sottoscritto dal governo nei mesi scorsi con Regioni e Comuni del Mezzogiorno (anche se separati e non coordinati tra loro), sono certamente importanti perchè potranno favorire l’assunzione di alcune decine di migliaia di giovani che, a mio giudizio, ci sarebbero in larga parte comunque, in quanto ad assumere saranno prevalentemente le aziende dei settori in espansione  e quelle che hanno un mercato estero.
Dubito, però che queste misure da sole possano colmare il divario Nord-Sud.
Una differenza che avrebbe dovuto annullarsi o almeno ridursi dopo 156 anni (tanto è trascorso dall’Unitá d’Italia) e che, invece, l’antimeridionalismo dominante ha fatto crescere riportandolo ai livelli del dopoguerra, pregiudicando così la crescita di tutta l’economia nazionale. Dunque, va detto con nettezza, l’azione portata avanti da vasti settori politici appartenenti a tutti gli schieramenti si è trasformata in un danno non solo per il Sud, ma per l’intero Paese.
Infatti, da quando si è interrotta qualsiasi politica pubblica finalizzata a ridurre il gap tra Nord e Sud l’economia italiana è andata indietro. Che si sia aggravato il divario del Mezzogiorno rispetto all’Italia Centro-settentrionale si desume da molti dati.
Per brevità ne cito solo tre.
Il primo: nel 2015 il PIL per abitante era di 33,4 mila euro l’anno nel Nord-ovest; di 32,3 mila euro nel Nord-est; di 29,3 mila nel Centro. Nel Sud,invece, il PIL pro-capite era di 17,8 mila euro (meno 44,2 per cento rispetto al PIL del Centro-Nord; il secondo: durante la crisi che si è abbattuta sull’Italia a partire dal 2008 il Meridione ha perso più occupati rispetto al resto del Paese: il tasso di occupazione maschile al Sud, già inferiore di quasi 10 punti della media nazionale, ha continuato a scendere con un ritmo ancora più accentuato; quanto alle donne, nel Mezzogiorno ne lavora una su 3; il terzo dato: il numero delle famiglie in cui non lavora nessun componente del nucleo familiare nel Sud è pari al 20 per cento.
Per farla breve il divario tra Sud e Nord è diminuito solo tra gli anni cinquanta e gli anni novanta del Novecento.
Pensare quindi che la debole ripresa dell’economia e le misure varate per il Sud possano annullare o ridurre il gap tra Sud e Nord è una pia illusione perchè il divario è troppo accentuato nella partecipazione al mercato del lavoro,negli investimenti e nel reddito.
Pertanto l’assunto secondo cui quello che va bene  per l’Italia va bene per tutti i territori- a prescindere dal loro grado di sviluppo e delle reali condizioni di vita delle persone che vi abitano – non funziona. Ciò è dimostrato da alcune misure adottate in questi anni quali, ad esempio: a) gli 80 euro del governo Renzi: ha beneficiarne per il 25 per cento sono state le famiglie del Nord,  mentre al Sud dove il reddito delle famiglie è più basso ne ha beneficiato solo il 18 per cento; b) i fondi stanziati per le grandi opere sono andati al Sud per il 24 per cento al Nord, invece,per il 74,5 per cento.
Con ciò non voglio dire che in questi anni non si sia fatto nulla per il Mezzogiorno, basti pensare ai 5 miliardi di euro destinati al Patto per il Sud realmente aggiuntivi e ai 15 miliardi derivanti dalle iniziative dei vari ministeri, ma purtroppo sono poca cosa se paragonati, ad esempio, ai 64,4 miliardi di euro che aveva stanziato il governo Prodi,  anche se poi il ministro dell’epoca, Tremonti, con il pretesto della crisi, li ha dirottati in altre direzioni.
Quindi se si vuole risolvere concretamente la questione del divario Sud-Nord  occorre cambiare registro; ciò non  vuol dire riproporre vecchie ricette assistenziali come quelle che hanno in parte caratterizzato l’intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno e dell’IRI, ma seguire l’esempio della Germania che investendo sul suo divario territoriale ha scalato i vertici dell’economia mondiale. 
Infatti tra il 1991 e il 2011 ha trasferito nella ex Germania dell’Est una cifra impressionante: 2000 miliardi di euro tra investimenti pubblici e privati, pari a 100 miliardi di euro l’anno! Quanto è stato speso, invece , per il nostro Mezzogiorno in 40 anni?
Dall’inizio degli anni cinquanta fino al 1993 sono stati investiti 230 miliardi, aggiungendo quelli spesi dopo la fine dell’intervento straordinario fino al 2008 si arriva a 342,5 miliardi di euro, una cifra non paragonabile rispetto a quanto investito dalla Germania.
In 60 anni nel Sud si è speso 6 volte meno di quanto si è investito nella Germania dell’Est in appena 20 anni!
Quindi se vogliamo davvero andare in Paradiso dobbiamo fare come hanno fatto altri Paesi: investire nel divario territoriale, adottando a questo scopo politiche specifiche.
In conclusione, alla luce dell’esito e delle conseguenze del Referendum svoltosi domenica scorsa in Veneto e Lombardia che,oltre a porre il problema del trasferimento di alcuni poteri  ha posto anche la questione di una diversa gestione delle risorse prodotte in quei territori (con l’obiettivo dichiarato di azzerare o ridurre al minimo il contributo di solidarietà da versare a favore delle regioni meridionali) mi sembra incomprensibile che un tema come quello del divario Sud-Nord sia completamente assente dalla campagna elettorale siciliana.
Chiedere che questo tema venga recuperato non credo sia chiedere troppo.
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