Camera di Commercio sud-est, l'"arbitro" Pagliaro giocava con il numero 10

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“Possiamo riprendere a parlare serenamente, senza sospetti di alcun tipo…”. Sembra il dialogo tra due amanti finalmente liberi di parlarsi senza tema di essere scoperti. Invece è lo scambio registrato il 16 maggio 2016 tra il commissario ad acta della Super Camera del Sud Est Alfio Pagliaro e l’allora presidente di Confcommercio Sicilia Pietro Agen.

Ad intercettare il telefono del commissario gli inquirenti che indagano sui falsi nell’attribuzione dei seggi del nuovo super ente camerale. Una procedura delicata, su cui il commissario nominato dal Ministero della Sviluppo Economico vigilava a modo suo.

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Come mostrato nella prima puntata, infatti, chi avrebbe dovuto assumere un ruolo di arbitro ha deciso di scendere in campo giocando con una fazione. Ovvero con quella di Confcommercio guidata da Agen, candidato alla presidenza della Super Camera. A mostrarlo chiaramente l’informativa della Squadra Mobile nella quale si sprecano le telefonate tra Pagliaro e i membri della cordata amica.

Contrapposta a quella che il commissario non esita a definire “avversaria”, sottolineando il proprio ruolo di giocatore attivo nella vicenda camerale.

Una conclusione messa nero su bianco dagli inquirenti: “E’ indubbio, come emerso dal servizio tecnico e dalle cronache cittadine, che Pagliaro abbia trovato l’avallo del proprio operato in Confcommercio che con il proprio Presidente Regionale Pietro Agen, ha guidato la cordata di associazioni concorrenti a quelle di Confindustria nella procedura in argomento”. Valutazioni che troverebbero riscontri in più di un’affermazione di Pagliaro.

A partire dalla telefonata con Agen intercettata il 16 maggio 2016. A chiamare il commissario ad acta è il presidente di Confcommercio Catania Riccardo Galimberti, cui gli inquirenti hanno notificato pochi giorni fa un avviso di conclusione delle indagini contestando quattordici falsi. Galimberti passa il telefono ad un altro soggetto appellato “presidente” – individuato dagli inquirenti in Pietro Agen – il quale chiede a Pagliaro di incontrasi poiché, appunto, “la vicenda camerale si è conclusa, possiamo riprendere a parlare serenamente senza sospetti”.

Ovvero senza che qualcuno possa mettere in dubbio l’equidistanza del commissario dalle due fazioni in gioco. Equidistanza compromessa sin dalle battute successive, con gli scambi tra Agen e Pagliaro relativi alle firme del Governo regionale per la Super Camera, nonché su alcuni incontri che dovrebbero vederli insieme alla Camera di Commercio.

Ma le bobine della Squadra Mobile offrono altre prove della comunità di intenti tra Pagliaro e la cordata di Pietro Agen. Il 25 maggio 2016 Galimberti chiama Pagliaro con un telefono terzo, passando Agen al commissario. Il presidente di Confcommercio Sicilia comunica “la sospensione di tutte le procedure di tutte le Camere” preannunciata dal Governo regionale, e annuncia di voler denunciare l’Assessore Mariella Lo Bello e il Presidente Crocetta per la mossa ritenuta illegittima.

Ma Pagliaro si inserisce suggerendo di denunciare anche l’organizzazione concorrente: “Voi a questi signori qua li dovreste denunciare perché hanno rallentato in tutti i modi la procedura…”, dice al suo interlocutore. Che replica di voler denunciare l’Assessore e il Presidente della Regione: “Le organizzazioni concorrenti … li denunceremo dopo, dopo …”.

Un gioco all’attacco, insomma, quello dell'”arbitro”, moderato paradossalmente proprio da Agen. Ancora, il 23 giugno successivo Pagliaro non lesina espressioni forti nei confronti di un esponente della cordata “avversaria”. Quando il commissario della Camera di Commercio di Catania Roberto Rizzo comunica come il presidente di Confcooperative Gaetano Mancini lo stia cercando, Pagliaro risponde testualmente: “Fallo morire, non gli rispondere!!!”.

Toni forti, appunto, significativi dell’atteggiamento tutt’altro che super partes assunto dal commissario ad acta nello svolgimento del suo mandato. Il quale “dovrebbe essere connotato da principi di terzietà connessi alla natura tecnica dell’incarico conferitogli dal MISE”, ricordano gli inquirenti nell’informativa. I cui contenuti non fanno che confermare il contrario.

L’arbitro non soltanto giocava con una delle due squadre, ma indossava anche il numero 10.

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