Paolo Briguglia e Silvia Ajelli sono i protagonisti della produzione del Teatro Biondo di Palermo “Nel nome del padre” di Luigi Lunari, diretto da Alfio Scuderi, in programma in Sala Strehler fino al 25 marzo. Le scene, firmate dallo stesso Scuderi, includono una scultura di Marcello Chiarenza.
Due giovani si ritrovano in un luogo misterioso, una specie di purgatorio dove devono liberarsi dai loro drammatici ricordi per approdare a una meritata pace. Rosemary e Aldo provengono dai poli opposti della nostra società: sono figli di due importanti uomini politici storicamente esistiti, di contrapposte posizioni ideologiche. Lei è figlia di un uomo molto potente, il cui operato ha condizionati gli equilibri e le sorti del mondo durante il Novecento, lui è il figlio di un povero rivoluzionario, che ha lottato per sconfiggere le ingiustizie di quel mondo propugnando l’uguaglianza tra gli uomini. Diciamo pure “una capitalista” e “un comunista”.
Entrambi i figli hanno pagato un durissimo prezzo alla personalità e alle ambizioni – pur così diverse – dei loro padri, dai quali sono rimasti irrimediabilmente schiacciati. Il dramma si sviluppa intorno al serrato dialogo liberatorio di questi due personaggi, in un luogo dell’anima non ben precisato, quasi una sala d’attesa verso un ipotetico aldilà.
«Con Nel nome del padre – spiega il regista Alfio Scuderi – vogliamo raccontare la storia di un uomo e una donna che si incontrano in uno spazio anonimo, misterioso, indefinito, forse un luogo della mente, una strana anticamera in cui si aspetta qualcosa, forse di incontrare qualcuno. È in questo luogo che i nostri protagonisti – due ragazzi fragili, schiacciati dalle ingombranti figure dei rispettivi genitori – ripercorrono le loro storie, ripensano alle loro vite. Due storie vissute in due paesi lontani, con due padri ingombranti alle loro spalle, le cui vicende si intrecciano con le storie dei due rispettivi paesi d’origine. Da una parte la malattia, la particolare condizione psichica, l’umanità, la sensibilità dei nostri protagonisti, dall’altra una vita che poteva essere diversa, migliore, forse più normale. Sullo sfondo, la storia di famiglie storicamente riconosciute che hanno condizionato la storia del Novecento. In scena, queste due storie così lontane e diverse diventano la stessa storia, con gli stessi percorsi, le stesse emozioni. Il teatro fa incontrare questi due ragazzi, cosi socialmente diversi, ma di fatto così simili, tanto da diventare, in questo luogo misterioso, due facce della stessa medaglia, due pezzi di una stessa storia, due vite in una».
Luigi Lunari sottolinea come «Lo spettatore noti e si renda conto di una cosa strana e interessante al tempo stesso: i due protagonisti appartengono ai due poli opposti della scala sociale. Lei è figlia di un uomo potentissimo, un vero e proprio protagonista del mondo del potere e del danaro, lui è il figlio di un povero rivoluzionario, per lungo tempo esule dalla sua patria, che lotta per sconfiggere quel mondo ed imporre una nuova eguaglianza tra gli uomini. I due ragazzi hanno una cosa in comune: tutti e due sono stati “schiacciati” dai loro genitori. Per quanto i genitori avessero ideali e obbiettivi di vita opposti, tutti e due – Aldo e Rosemary – sono stati sacrificati sull’altare di quegli ideali, tutti e due ne hanno portato pesantemente le conseguenze, tutti e due ne sono rimasti irrimediabilmente vittime. È questa, credo, l’occasione di riflessione più importante del testo: il suo messaggio. Il pesante prezzo che i figli devono pagare per le ambizioni – nobili o banali, ideali o terrene, divine o diaboliche che siano – dei loro padri».