“Avevo un’azienda agricola e mi sono detta: è giusto andare verso gli altri, aiutarli“. Cetti Mineo ha 51 anni e gestisce un’azienda agricola a Paternò, Poggio Rosso, diventata anche fattoria sociale. All’interno della struttura, ormai da qualche anno, si svolgono attività con ragazzi diversamente abili, oltre a giovani e adulti impegnati in percorsi di riabilitazione.
“L’approccio è dare un servizio per rieducare un disabile o un soggetto socialmente escluso come ex carcerati, ex alcolisti, ex tossicodipendenti – spiega – Persone inciampate in percorsi difficili, da aiutare attraverso il servizio nel sociale“. Il lavoro in un luogo come Poggio Rosso secondo Mineo è importante, perché “si capisce come approcciarsi agli altri, oltre a imparare un mestiere“.
In Sicilia l’iniziativa parte dal sociologo Salvatore Cacciola. “Sostiene che il lavoro in campagna possa diventare attività educativa – racconta Cetti Mineo – Quando ognuno di noi si astrae dal mondo industriale, torna ad avere una dimensione diversa; un ambiente lontano dai rumori, dove si respira bene, fa stare bene l’individuo“. Da qui l’intuizione di applicare questo principio nei percorsi di riabilitazione.
Le prime attività a Poggio Rosso sono iniziate intorno al 2010 con un gruppo di giovani affetti da autismo. “Il primo progetto si chiamava ‘Nella fattoria ci sono anch’io’ – afferma Cetti Mineo – Un determinato numero di ragazzi, di maggiore età, sono stati assegnati per un periodo di sei mesi“. Un’iniziativa sperimentale, coordinata da Renato Scifo, responsabile del centro per l’autismo dell’Asp, e seguita da assistenti sociali e medici. “Una prima fase è stata quella di familiarizzazione, poi c’è stato l’inizio vero e proprio – prosegue – Durante il percorso sono state acquisite delle autonomie e sono stati svolti dei compiti nella fattoria, quindi ci sono stati dei progressi. È stato bellissimo“. Mineo ricorda di un giovane in particolare. “Veniva da Catania tre volte la settimana, i primi tempi nemmeno ci guardava in faccia. Gli abbiamo assegnato la cura del pollaio, di un piccolo orto e delle aiuole“. Alla fine del percorso “era lui che ci aiutava ad accogliere le scolaresche – dice ancora emozionata – inserirlo in un gruppo con altre 50 persone per lui è stato un risultato enorme“. E aggiunge: “Abbiamo potuto verificare che l’azienda sociale dà un grande beneficio all’utente“.
Un altro progetto concluso con successo si chiamava “‘Cacciatori di aquiloni’. Era rivolto a ragazzi con ritardi mentali, alcuni anche trattati farmacologicamente – descrive Mineo – In questo caso si parte da una riflessione sul ‘dopo di noi’, cosa succede se i genitori o chi li assiste non c’è più“. Puntando sulla ripetizione di alcune azioni quotidiane, si cerca di arrivare a un determinato grado di autonomia.
L’impegno di chi apre le porte delle proprie aziende a iniziative del genere è davvero importane. “Non sono percorsi facili, perché noi abbiamo anche le nostre problematiche, abbiamo le nostre vite – precisa l’imprenditrice – Io ho fatto questa scelta per mettere a disposizione quello che ho e che so fare“. Quando si avviano queste attività “si ferma tutto il resto“. Però, sottolinea con amarezza, “nessuno mette in moto delle risorse per il sociale, non interessa nessuno. Eppure il nostro mondo ha delle enormi potenzialità. Ma sui ragazzi non viene fatta nessun altro investimento“.