Dopo le innumerevoli misure antiliberali e la messa a soqquadro del sistema di pesi e contrappesi su cui si regge la democrazia americana, e dopo le minacce nei confronti di Canada, Panama e Groenlandia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha varato i tanti annunciati dazi, sia nei confronti dei prodotti che gli USA importano dall’Europa, che da quelli che importano da tanti altri paesi dei diversi continenti.
Con alcune differenze, ai prodotti europei vengono imposti dazi del 20 per cento, mentre a quelli che arrivano da altre nazioni extraeuropee i dazi – faccio solo qualche esempio – sono: per il Vietnam il 46 per cento, per la Thailandia il 37 per cento, per la Cina il 34 per cento, per la Svizzera il 32 per cento e, a seguire tanti altri.

Quindi, in barba alla storia dei vari dazi, tariffe, barriere doganali che dir si voglia, il nuovo presidente americano è andato comunque avanti su questa strada, pur sapendo che tutti quelli che hanno cavalcato questo tipo di politica – illudendosi così di fare una scelta patriottica – se ne sono pentiti amaramente.
Infatti tra i “pentiti” troviamo:
- Ronald Reagan, 40° presidente degli Stati Unici, il quale ammise pubblicamente di aver sbagliato ad aver imposto i dazi a Canada e Giappone;
- Napoleone Bonaparte, che adottò il blocco commerciale contro l’Inghilterra nel 1806 nel tentativo di piegarla ai propri voleri, senza peraltro riuscirci;
- Il 45° presidente che guidò l’America alla fine dell’Ottocento, William McKinley, che da deputato repubblicano nel 1890 fece approvare un aumento dei dazi del 50 per cento su tutte le merci che arrivavano negli Stati Uniti, ottenendo però un risultato opposto, che fu quello di determinare il crollo dell’economia.
Ma vi chiederete, per quando concerne l’Italia, quali sono i settori che vengono maggiormente colpiti dai dazi; e quali sono gli effetti sulle famiglie e sulla crescita dell’economia?
Dopo i dazi imposti in un primo momento da Trump all’Unione europea per l’alluminio, l’acciaio e le auto importate negli USA che ovviamente colpiscono anche il nostro Paese, con i nuovi dazi a subire il colpo più duro sono:
- il farmaceutico,
- il sistema moda,
- i macchinari agricoli,
- i prodotti agroalimentari – con in testa il vino, l’olio d’oliva, le passate e le conserve di pomodoro, le confetture, il parmigiano reggiano, tutti i formaggi e i latticini, ecc.
Con la differenza che il farmaceutico piangerà con un occhio solo perchè gli Stati Uniti non sono autonomi per quanto riguarda i principi attivi, e dipendono dall’estero; lo stesso dicasi per il settore dell’automotive: Ford e Stellantis, poiché producono i loro veicoli in America, soffriranno solo per via della componentistica che devono importare.
Piangeranno con tutte e due gli occhi il settore dei macchinari agricoli, della moda e dei prodotti dell’agroalimentare, con una grave ricaduta sull’artigianato e sulle imprese agricole, visto che a confezionare i capi d’abbigliamento di fascia medio-alta e a trasformare i prodotti agricoli sono appunto gli artigiani.
Con riferimento infine agli effetti dei dazi americani sulle famiglie e sulla crescita economica dico solo che i dazi, facendo aumentare i prezzi, genereranno un’impennata del carovita; mentre per quando concerne la crescita possiamo prevedere che rallenterà sia al di qua che al di là dell’Atlantico, poiché le economie sono ormai interconnesse.
Che fare dunque rispetto a quella che prima era una minaccia, e oggi è diventata un fatto concreto, un pericolo reale?
La presidente del consiglio, l’onorevole Giorgia Meloni, in un primo momento ha sostenuto la linea della massima prudenza, illudendosi che l’Italia o i prodotti nostrani sarebbero stati risparmiati in virtù dei suoi buoni rapporti con Trump.
Poi ha teso a minimizzare l’impatto (forse perchè ha pensato che i dazi Usa impattano sul costo di cessione del prodotto dal produttore all’esportatore, non sul prezzo di vendita. Per cui gli effetti sul consumatore di fascia medio-alta per un prodotto che paga 65-70 euro incideranno per 5-6 euro).
Adesso la presidente Meloni, stando alle dichiarazioni più recenti, pensa di fare pressione su Bruxelles per trovare una strada che consenta di dare qualche contributo ai comparti più colpiti. Altri, invece, opposizioni comprese, sin da quando è stata paventata la minaccia, oltre a rimproverare alla Meloni la sua linea attendista, sostengono che occorra battere i pugni sul tavolo, che vi sia la necessità di adottare la strategia dell’occhio per occhio dente per dente: insomma ritengono che sia necessario rispondere ai dazi con dei contro-dazi nei confronti dei prodotti americani.
Dal canto suo il Presidente della Repubblica, dal Colle, sostiene che serva un’azione compatta da parte dell’Unione europea. Una posizione, questa, che, con tutto il rispetto nei confronti del Capo dello Stato, mi sembra un’ovvietà, visto che in materia di Politica commerciale solo l’Unione europea può adottare atti giuridicamente vincolanti.
Comunque ad oggi l’unico capo di governo che è passato dalle chiacchiere agli atti concreti è il leader spagnolo Pedro Sanchez che ha deciso di varare un Fondo Nazionale di Solidarietà di 14 miliardi di euro per tutelare aziende e occupazione.
In conclusione, oltre a capire il perché delle scelte del nuovo presidente americano, occorre anche e soprattutto capire che fare rispetto alla situazione che si è venuta a determinare a seguito dei dazi di Trump.
Con le azioni portate avanti sinora il presidente degli Stati Uniti d’America parla alla pancia del paese, a chi l’ha votato: proprio a costoro vuole dimostrare che l’America ha un presidente forte in grado di mettere in riga tutti: Ucraina, Russia, Groenlandia, Cina, Messico, Canada, Europa.
Parla, per dirla più chiaramente, a quelli che sono stati impoveriti con la globalizzazione e hanno perduto il cosiddetto sogno americano.
Dimenticandosi, o facendo finta di non sapere, che la causa dell’impoverimento degli Stati Uniti non risiede negli altri Paesi, bensì nella scelta tutta americana di puntare le sue fiches sulla finanza e sulla delocalizzazione delle sue imprese.
Relativamente ai dazi, è ovvio che non si può essere acquiescenti di fronte ad azioni come quelle di Trump che, oltre a essere provocatorie, sono anche dannose per famiglie e imprese. Non credo neppure che la cosa più giusta da fare sia quella del muro contro muro. L’unica cosa della quale sono certo è che, comunque, non si può restare fermi: non si può stare con le mani in mano o menar il can per l’aia
Dico questo anche perché i dazi, una volta introdotti, se non si tolgono nel giro di qualche settimana o di un paio di mesi è difficile, se non impossibile, rimuoverli; anzi tendono a diventare permanenti perché le aziende si adattano ai nuovi scenari di mercato.
Pertanto occorre agire subito per attutire gli effetti negativi dei dazi facendo rete a livello europeo, sostenendo le imprese e i lavoratori dei settori che saranno colpiti dalle politiche tariffarie e, nel contempo, aiutare le aziende per reindirizzare i loro prodotti verso altri mercati.
Verso quelle nazioni dove si registrano ritmi di crescita economica molto interessanti e comunque superiori a quelli americani, dove attualmente esportiamo poco e dove ci sono possibilità di crescita enormi.