Buonasera e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Così è (se vi pare)“.
Sapete tutti, perché se ne è fatto un gran parlare – soprattutto da parte degli esponenti del governo Meloni -, che in Italia sono aumentati l’occupazione, le esportazioni e gli investimenti.
Sapete anche, per il medesimo motivo già accennato, che al Sud la crescita è maggiore (+0,8 per cento contro lo 0,6 per cento del Centro Nord).
Gli esponenti del governo, e la stessa presidente del consiglio dei ministri, ne parlano a più riprese – anche quando si parla di tutt’altro – enfatizzando i risultati per attribuirsi il merito di questo “miracolo“.
Comunque il sorpasso del Meridione nel biennio 2022-2023 è riconducibile alle difficoltà fatte registrare dal Centro-Nord a seguito della crisi dell’industria, al calo delle esportazioni, agli effetti positivi degli investimenti del Pnrr, al Superbonus, all’accelerazione della spesa dei Fondi europei, agli investimenti legati alla Zona economica speciale unica e agli ottimi risultati del turismo, che nel 2024 ha fatto registrare la presenza di 250 milioni di stranieri.
Grazie alla somma di tutti questi fattori in tutta Italia l’occupazione è cresciuta di 352 mila unità, sono diminuiti i disoccupati e sono calati pure coloro i quali hanno smesso di cercare un lavoro. Pertanto il tasso di occupazione è salito al 62,2 per cento, mentre quello della disoccupazione è sceso al 6,5 per cento.
Altro dato incontrovertibile è rappresentato dalla crescita del Mezzogiorno, superiore a quella del resto del Paese: un fatto che non accadeva dagli anni settanta.
L’elemento determinante della crescita è stato il settore agroalimentare, un comparto che incide per oltre il 25 per cento nella formazione del Prodotto interno lordo vale a dire alla formazione della ricchezza del Paese (70 miliardi di euro), più del 50 per cento di questa percentuale è prodotta dal Sud.
Ma se tutto questo è vero, è anche vero:
● che a trainare la crescita dell’occupazione sono soprattutto gli over 50 e si è allargata la forbice tra uomini e donne (l’80 per cento dei nuovi lavoratori sono maschi).
● che la produzione industriale da 2 anni perde terreno per effetto del crollo del settore auto e delle difficoltà che attraversa il tessile-abbigliamento.
● che il debito pubblico a gennaio 2025 è risalito a 2.980, 5 miliardi di euro.
● che l’indice di fiducia degli italiani nel futuro è appena il 29 per cento, una delle percentuali più basse della serie storica.
● che il 64 per cento degli Italiani che hanno un gruzzoletto in banca se lo tiene stretto, non lo investe e lascia i soldi sul conto corrente, quindi risparmia per tutelarsi rispetto a spese impreviste.
Dico tutto questo non perché ho la vocazione a piangermi addosso, bensì perché pur essendo convinto che la crescita del Mezzogiorno non è legata alla contingenza, vale a dire alle difficoltà degli altri, occorre sempre dire pane al pane e vino al vino.
Per cui questi dati, certamente positivi, non solo non sono stati sufficienti a far restare i giovani al Sud, visto che in 10 anni ha perso 168 mila laureati che si sono trasferiti all’estero, a cui si aggiungono 63 mila giovani emigrati al Nord, dei quali il 43 per cento laureati; ma anche perché siamo ancora lontani dal recuperare quella competitività che oggi costa 96 miliardi di euro al sistema paese, 9 miliardi solo al settore agroalimentare.
Quel comparto che con i dazi annunciati da Trump (anche se il quadro non è ancora chiaro alla luce del sistema stop and go adottato dal presidente americano per Messico e Canada) rischia di subire un colpo durissimo, visto che il Sud esporta per 8 miliardi di euro (in particolare solo la Sicilia esporta oltre 1 miliardo di euro, di cui circa 800 milioni di prodotti agroalimentari).
Pertanto, considerato che il Mezzogiorno esporta negli USA vino, formaggi e latticini, conserve, olio (che da solo ha raggiunto un valore di oltre 3 miliardi di euro), non c’è da stare allegri.
Non c’è assolutamente da gioire anche perché sono stati tagliati 5 miliardi di euro riferiti alla norma cosiddetta decontribuzione Sud, 3,5 miliardi per il Fondo perequativo infrastrutturale e 3 miliardi per l’automotive.
A tutto ciò si aggiunge che il Pnrr sta per finire (entro agosto 2026 gli investimenti ad esso riconducibili debbono essere completati). L’unica cosa che resterebbe al Mezzogiorno sarebbero le risorse del Fondo di Coesione, quei soldi che si vorrebbe utilizzare per il riarmo, per acquistare carri armati, missili e armi vari che dovrebbero difendere i nostri confini da un’ipotetica guerra.
Che fare dunque davanti a uno scenario così fosco?
Lo scopriremo insieme questa sera! Non ci resta che darvi appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!