Buonasera e benvenuti ad una nuova puntata di “così è (se vi pare)”
In questi giorni il presidente del consiglio, o se preferite la presidente del Consiglio, insomma l’onorevole Giorgia Meloni, risponde piccata a chi critica l’operato del suo governo in materia di sanità, di economia e di politiche del lavoro.
Replica sostenendo, ad esempio in materia di sanità, che “il suo governo è quello che ha messo più soldi in assoluto rispetto altri governi: 134 miliardi di euro nel Fondo Sanitario Nazionale del 2024 non erano mai stati messi da nessun governo prima di noi“.
La cifra di cui parla il capo del governo è corretta, ma è fuorviante, perché dal 2000 in poi il finanziamento nominale annuale del Servizio sanitario nazionale è costantemente aumentato.
C’è da tener presente però che questo dato nominale non tiene conto dell’aumento dei prezzi e dell’inflazione.
Se invece si prende a riferimento il finanziamento del Servizio sanitario nazionale in termini reali raggiunto nel 2024 si nota che è leggermente più basso di quello del 2022.
Per capire quindi se si stanziano più soldi nei confronti della sanità il calcolo si dovrebbe fare in rapporto al Prodotto interno lordo del Paese.
Infatti se si prendesse a riferimento questo dato emergerebbe che nel 2024 il rapporto tra il finanziamento del Servizio sanitario nazionale e il PIL risulta più basso rispetto a quanto stanziato negli anni precedenti alla pandemia.
Con questo non voglio dire che l’onorevole Meloni stia definanziando la sanità, come sostengono i suoi critici più feroci, voglio solo dire che il solo dato in termini nominali non basta per capire se il finanziamento sia ad un livello adeguato o se sia effettivamente in crescita rispetto agli scorsi anni.
Con riferimento alle politiche economiche e del lavoro, sempre l’onorevole Meloni, sostiene con forza che l’Italia cresce più degli altri Paesi europei, soprattutto più di Francia e Germania e che il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 anni è cresciuto nel 2023 del 1,5 per cento.
Aggiungo, per completezza di informazione, che l’occupazione aumenta di più pure nella componente femminile nel Mezzogiorno, anche se gli squilibri di genere e territoriali restano ancora molto forti.
Sempre rispetto al tasso di occupazione ad aprile 2024, su base mensile, il tasso di occupazione è salito al 62,3 per cento, segnando un nuovo record.
Rispetto a marzo l’Istat comunica anche che l’occupazione cresce di 84 mila unità (+ 0,4 per cento).
Tutto questo è vero, così come è vero che quest’anno il nostro Paese crescerà dello 0,9 per cento (Confindustria sostiene invece che non supererà lo 0,6 per cento), recuperando una parte del cammino perduto negli ultimi 10 anni. È inoltre vero che abbiamo superato del 3,6 per cento il nostro PIL del 2019.
C’è da dire però che l’Italia è l’unico tra i grandi Paesi che non ha ancora raggiunto il livello che aveva nel 2008.
Aggiungo, sempre per completezza di informazione, che l’Italia ha il tasso di occupazione più basso della media europea; che nel Belpaese c’è ancora una quota troppo alta di giovani fuori dal mercato del lavoro e del sistema d’istruzione (16,1 per cento contro 11,2 per cento della media europea); e che ha una quota fuori misura di part-time involontario (10,2 per cento contro il 3,6 per cento della media EU).
Ultima osservazione: rispetto alla nuova occupazione il Governatore della Banca d’Italia, oltre a sostenere che questa è soprattutto concentrata sui servizi di basso valore aggiunto e che al numero dei nuovi occupati si accompagna la diminuzione delle ore lavorative pro-capite.
Pertanto penso che, piuttosto che accapigliarsi sui finanziamenti alla sanità e sulle performance della crescita e del tasso di occupazione, sarebbe più opportuno affrontare la questione relativa alla media dei salari italiani che, nonostante qualche aumento recente, risultano ancora bassi. Troppo bassi!
Ci si dovrebbe occupare della questione degli stipendi insufficienti non solo perché la drammaticità del problema salariale italiana è confermata dai dati OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), secondo i quali i salari reali italiani sono addirittura diminuiti del 6,9 per cento rispetto al 2019, ma anche perché questo problema è una delle cause della crescente emigrazione di lavoratori ad alta e altissima specializzazione, dal settore industriale a quello sanitario, dalla ricerca scientifica all’insegnamento.
Altro provvedimento di cui si fa un gran parlare è il Bonus Giovani diretto alle imprese che assumono un under 35 a tempo indeterminato che potranno beneficiare dall’esonero dei contributi previdenziali fino a: 650 euro per i lavoratori del Sud e fino a 500 euro per i lavoratori di tutte le altre Regioni.
Un bonus che si può applicare anche per la trasformazione di contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. Il bonus ha la durata massima di 2 anni.
Quindi si tratta di un provvedimento importante che viene incontro a quelle imprese che sono in grado di assumere o/e sono in condizioni di trasformare i contratti a tempo parziale.
Nessuno dice però che di questo provvedimento potranno beneficiare solo il 5,6 per cento delle imprese, mentre il 25,3 per cento delle imprese subirà un aggravio d’imposta per effetto della eliminazione dell’aiuto per la crescita economica (ACE), vale a dire del reinvestimento degli utili in azienda.
Che dire dunque di fronte ad una situazione come questa? Che fare per gestire al meglio questa “coperta troppo corta”? Scopriamolo insieme questa sera!
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