Meno prestiti da parte delle banche al settore privato, con imprese e famiglie che attingono alle loro riserve sia per far fronte alla fiammata dell’inflazione sia per compensare il credit crunch. Nell’ultimo anno, anche a causa del costo del denaro in rapido aumento, si è registrato un generale rallentamento dei finanziamenti bancari, con lo stock sceso a quota 1.275 miliardi e in calo complessivamente di quasi 40 miliardi di euro (-3%), una cifra molto simile alla riduzione dei depositi e conti correnti di imprese e famiglie, scesi di circa il 2%, con 41 miliardi di “prelievi” totali allo sportello che portano il totale delle riserve sotto quota 2mila miliardi. L’aumento dei tassi d’interesse, deciso dalla Bce, ha reso il credito più costoso e meno accessibile sia per le famiglie sia per le imprese: in risposta a queste condizioni sfavorevoli e considerando anche l’impennata dei prezzi, famiglie e imprese hanno dovuto attingere alle loro riserve per far fronte alle esigenze quotidiane e per creare un cuscinetto contro l’inflazione. È quanto emerge dal rapporto mensile sulle banche realizzato dal Centro studi di Unimpresa, secondo il quale i prestiti alle aziende a breve termine (fino a 1 anno) hanno registrato un lieve incremento dello 0,59%, passando da 139,86 miliardi di euro a 140,68 miliardi di euro. Tuttavia, i finanziamenti a medio termine (fino a 5 anni) sono rimasti sostanzialmente invariati, aumentando solo dello 0,12%. La situazione è diversa per i crediti a lungo termine (oltre 5 anni), che hanno subito una significativa riduzione del 7,79%, scendendo a 314,71 miliardi di euro da 341,28 miliardi di euro. Complessivamente, gli impieghi totali alle aziende sono diminuiti del 4,02%, attestandosi a 611,17 miliardi di euro. Sul fronte della raccolta, i dati mostrano un leggero aumento dei depositi delle aziende (+0,21%), che hanno raggiunto 409,48 miliardi di euro. In contrasto, le riserve delle famiglie sono diminuite del 2,54%, scendendo a 1.119,67 miliardi di euro. I fondi delle imprese familiari sono calati del 3,87%, attestandosi a 84,03 miliardi di euro. Le onlus hanno visto un aumento della loro liquidità del 5,34%, mentre i fondi d’investimento hanno subito una riduzione del 4,18%, scendendo a 291,58 miliardi di euro; gli enti di previdenza hanno incrementato i loro conti del 9,10%, raggiungendo 24,93 miliardi di euro, mentre le assicurazioni hanno visto una diminuzione del 6,88%, scendendo a 14,59 miliardi di euro. Infine, i fondi pensione hanno registrato un aumento della liquidità del 4,67%, attestandosi a 7,42 miliardi di euro.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati statistici della Banca d’Italia, lo stock totale dei prestiti al settore privato è diminuito da 1.315,73 miliardi di euro a 1.275,88 miliardi di euro, con una riduzione di 39,84 miliardi di euro, pari al meno 3,03%. Questi dati, talora contestati dalle associazioni di categoria del settore creditizio, non tengono conto delle cartolarizzazioni di prestiti, vale a dire impieghi in buona parte deteriorati che le banche hanno ceduto, nel corso del periodo in esame, a società veicolo o player specializzati nella gestione del non performing loan. Se quei valori fossero computati nel conto totale, i risultati sarebbero diversi, tuttavia appare più corretto prendere in considerazione solo il credito risultante negli attivi bancari ovvero quello che è alla base della relazione tra la banca e la propria clientela. Per quanto riguarda le aziende, complessivamente, i crediti erogati dalle banche sono diminuiti da 636,74 miliardi di euro a 611,17 miliardi di euro, con una contrazione di 25,57 miliardi di euro, pari al meno 4,02%. Nel dettaglio, i prestiti a breve termine sono aumentati da 139,86 miliardi di euro ad aprile 2023 a 140,68 miliardi di euro ad aprile 2024, registrando un incremento di 819 milioni di euro, pari al più 0,59%. I prestiti con scadenza fino a 5 anni, invece, sono rimasti pressoché stabili, passando da 155,60 miliardi di euro a 155,79 miliardi di euro, con una variazione positiva di 188 milioni di euro, pari al più 0,12%. I prestiti a lungo termine hanno subito una diminuzione significativa, passando da 341,28 miliardi di euro a 314,71 miliardi di euro, con una riduzione di 26,57 miliardi di euro, pari al meno 7,79%.
Quanto alle famiglie, i prestiti sono scesi da 678,99 miliardi di euro a 664,71 miliardi di euro, con una contrazione di 14,28 miliardi di euro, pari al meno 2,10. Nel dettaglio, il credito al consumo (ovvero quello concesso principalmente per l’acquisto di viaggi, arredamento, automobili, elettrodomestici, computer e smartphone) è aumentato da 117,33 miliardi di euro a 120,98 miliardi di euro, con una crescita di 3,65 miliardi di euro, pari al più 3,11%. I mutui ipotecari sono leggermente diminuiti da 425,91 miliardi di euro a 423,26 miliardi di euro, con una riduzione di 2,65 miliardi di euro, pari al meno 0,62%. I prestiti personali hanno subito una significativa diminuzione, passando da 135,75 miliardi di euro a 120,47 miliardi di euro, con una riduzione di 15,28 miliardi di euro, pari al meno 11,25%.
Sul fronte della raccolta bancaria, il totale dei depositi e conti correnti è diminuito da 2.029,31 miliardi di euro a 1.988,03 miliardi di euro, con una riduzione di 41,29 miliardi di euro, pari al meno 2,03%. Nel dettaglio, la liquidità delle aziende è aumentata leggermente da 408,61 miliardi di euro a 409,48 miliardi di euro, con un incremento di 874 milioni di euro, pari al più 0,21%. I salvadanai delle famiglie sono diminuiti da 1.148,89 miliardi di euro a 1.119,67 miliardi di euro, con una riduzione di 29,22 miliardi di euro, pari al meno 2,54%. Le riserve delle imprese familiari sono scese da 87,42 miliardi di euro a 84,03 miliardi di euro, con una contrazione di 3,39 miliardi di euro, pari al meno 3,87%. I depositi delle onlus sono aumentati da 34,48 miliardi di euro a 36,32 miliardi di euro, con un incremento di 1,84 miliardi di euro, pari al più 5,34%. I fondi d’investimento hanno registrato una diminuzione della loro liquidità da 304,31 miliardi di euro a 291,58 miliardi di euro, con una riduzione di 12,73 miliardi di euro, pari al meno 4,18%. I conti degli enti di previdenza sono aumentati da 22,85 miliardi di euro a 24,93 miliardi di euro, con una crescita di 2,08 miliardi di euro, pari al più 9,10%. I depositi delle compagnie assicurative sono diminuiti da 15,66 miliardi di euro a 14,59 miliardi di euro, con una riduzione di 1,08 miliardi di euro, pari al meno 6,88%. I fondi pensione hanno registrato un aumento delle riserve da 7,09 miliardi di euro a 7,42 miliardi di euro, con una crescita di 331 milioni di euro, pari al più 4,67%.
«I risparmi accumulati sono stati utilizzati per compensare la mancanza di nuovi finanziamenti e per mantenere il potere d’acquisto in un contesto di prezzi in aumento. I nostri dati, andando più a fondo con l’analisi, mettono in luce un comportamento discutibile da parte delle banche e una politica monetaria della Banca centrale europea che solleva forti critiche. Le banche, approfittando dei tassi di interesse più alti, hanno aumentato il loro margine d’interesse, sfruttando la situazione a loro esclusivo vantaggio. Questa strategia, orientata al profitto a breve termine, ha ignorato deliberatamente gli effetti negativi sull’economia reale. L’aumento del costo dei finanziamenti ha infatti reso più difficile per le imprese ottenere il credito necessario per investire e crescere, e per le famiglie finanziare spese essenziali come l’acquisto di una casa o il consumo di beni durevoli. Le banche hanno preferito accumulare riserve piuttosto che sostenere l’economia, contribuendo a una contrazione del credito che ha soffocato la crescita economica e aumentato l’incertezza nel mercato. Questo comportamento opportunistico non solo danneggia l’economia, ma mina anche la fiducia dei consumatori e degli imprenditori nel sistema bancario. Parallelamente, la politica monetaria della Bce ha aggravato la situazione. L’aumento rapido e significativo del costo del denaro ha imposto ulteriori pressioni sui finanziamenti, aggravando le difficoltà per il settore privato. Il successivo taglio del tasso di interesse di 25 punti base deciso lo scorso 6 giugno, per quanto benvenuto, è risultato troppo piccolo e tardivo per invertire i danni già inflitti. La Bce ha dimostrato una mancanza di visione strategica, ignorando l’impatto delle sue decisioni sull’economia reale e agendo in modo reattivo anziché proattivo.» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora