Mercoledì 5 giugno è stato pubblicato sulla rivista Nature l’articolo “Capturing carbon dioxide from air with charged-sorbents”, frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università di Torino e i ricercatori dell’Università di Cambridge (UK), dell’Università di Hong Kong (Cina) e dell’Università Cornell (US). Lo studio si è focalizzato su una delle nuove tecnologie più promettenti nella lotta contro il cambiamento climatico: la DAC (Direct Air Capture), la cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria. Si tratta di una tecnica innovativa che, anziché concentrarsi solo sulla riduzione delle emissioni alla fonte, mira a rimuovere direttamente l’anidride carbonica già presente nell’aria, indipendentemente dalla sua origine.
Il concetto alla base della DAC è relativamente semplice ma, allo stesso tempo, la sua implementazione tecnologica richiede un notevole investimento in ricerca e sviluppo. La tecnologia si basa su sistemi che aspirano l’aria, la filtrano attraverso sostanze chimiche o materiali specializzati che catturano l’anidride carbonica e rilasciano aria pulita. L’anidride carbonica catturata viene poi concentrata e stoccata in modo sicuro, o riutilizzata in processi industriali. Una tecnica in grado di rivoluzionare l’approccio alla gestione del carbonio nonostante i costi energetici ed economici siano ancora molto elevati.
Lo studio, condotto da Valentina Crocellà e Matteo Signorile, ricercatori del Dipartimento di Chimica UniTO nel gruppo di Chimica Fisica, mira a sviluppare una nuova classe di materiali efficienti e a basso costo, noti come “sorbenti-caricati”. “Questi nuovi materiali – dichiara Valentina Crocellà – vengono preparati attraverso un processo di carica simile a quello di una batteria, accumulando ioni sulla superficie di carboni attivi a basso costo. Gli ioni inseriti hanno la capacità di catturare rapidamente l’anidride carbonica dall’aria, attraverso la formazione di specie chimiche, note come bi-carbonati. Ed è proprio questo uno dei punti di forza di questo nuovo materiale. Il rilascio dell’anidride carbonica può essere ottenuto a basse temperature (90-100°C) e la natura conduttiva del carbone stesso consente la rigenerazione diretta mediante un fenomeno noto come effetto Joule, utilizzando elettricità ottenuta da fonti rinnovabili”.
Uno degli aspetti cruciali per il successo della cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria è dunque l’ottimizzazione dei materiali utilizzati nei sistemi di cattura. Questi materiali devono essere altamente efficienti nella loro capacità di catturare e rilasciare anidride carbonica, energeticamente sostenibili ed economicamente convenienti. Nel caso specifico, l’utilizzo di tecniche sperimentali di caratterizzazione avanzata ha permesso di comprendere a fondo il meccanismo con cui l’anidride carbonica è catturata dal nuovo materiale, permettendo di porre le basi per lo sviluppo di altri “sorbenti-caricati”, con prestazioni ancora più elevate.
“Per ottenere le informazioni che ci eravamo prefissati – prosegue Matteo Signorile – abbiamo dovuto lavorare portando le strumentazioni presenti in laboratorio al loro limite, adattando la ricerca ai nuovi materiali che stavamo studiando. Una ricerca possibile anche grazie al supporto del progetto CH4.0 del Dipartimento di Chimica (MUR – Dipartimenti di Eccellenza 2023-2027) e del Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM). In un mondo che continua a fare i conti con livelli crescenti di emissioni di anidride carbonica, trovare soluzioni efficaci per ridurre la concentrazione di questo gas serra nell’atmosfera è diventato un imperativo. I nuovi materiali oggetto della pubblicazione su Nature potrebbero rappresentare una frontiera affascinante nella lotta contro il cambiamento climatico, offrendo speranza per un futuro in cui le emissioni di anidride carbonica potrebbero essere non solo ridotte, ma rimosse effettivamente dall’atmosfera”.