Poiché ogni tanto mi capita di recarmi all’estero, questa sera vi parlerò dell’Argentina, paese da dove sono rientrato alla fine della settimana scorsa dopo una permanenza di otto giorni.
Una Nazione che una volta veniva considerata una delle più ricche al mondo, avendo anche il nome che appunto deriva dalla parola “argento”. Una virtù, questa, che unitamente al fatto che:
- la Costituzione del 1853 riconosceva i diritti civili a tutti gli stranieri;
- che all’immigrazione veniva riconosciuto fin dal 1860 un ruolo salvifico irrinunciabile;
- e al fatto che nel 1882 il governo dell’epoca decise di concedere 25 ettari per ogni nucleo familiare,
attrasse, fin dal 1870, molti emigrati provenienti dall’Italia e, in particolare dal Sud e dalla Sicilia.
Parlerò dell’attuale situazione socio economica Argentina perché è la nazione, fuori dell’Italia, con la maggiore presenza italiana.
Ne parlo quindi perché sono convinto che quello che accade in quel Paese ci riguarda direttamente, visto tra l’altro che in quel Paese vivono quasi un milione di cittadini italiani e 15-20 milioni di oriundi.
Qualcuno dei miei estimatori, abituato a spaccare il capello in quattro, obietterà: ma come si fa a parlare di una realtà così complessa dopo appena otto giorni di permanenza?
L’osservazione ha certamente un suo fondamento; considerato però che durante il mio soggiorno ho incontrato: rappresentanti di importanti istituzioni locali, docenti universitari, imprenditori anche di origine italiana, giornalisti, rappresentanti di patronati e sindacati e studenti.
Parallelamente ho potuto attingere a studi e ricerche di istituzioni indipendenti; quindi penso di potere fare una valutazione compiuta e corretta di quella che è la situazione attuale in argentina.
Fatta questa lunga premessa dico subito che, a pochi mesi dall’insediamento di Javier Milei al vertice dell’Argentina – avvenuto il 10 dicembre del 2024 (esattamente 40 anni dopo del ritorno alla democrazia) – gli effetti della sua politica mostrano tutti i suoi limiti.
In politica estera, ad esempio, l’ultraliberista e populista di destra, muovendosi come un elefante in una cristalleria provoca una crisi diplomatica dietro l’altra.
Le ultime in ordine di tempo sono quelle contro il presidente della Colombia, Gustavo Petro, nei confronti del quale ha dichiarato testualmente in un’intervista rilasciata alla CNN spagnola: “Non c’è molto che ci si possa aspettare da uno come Petro che è stato un assassino, un terrorista, un comunista”. Di fronte a queste offese la Colombia ovviamente ha reagito espellendo dal Paese , per protesta, la delegazione diplomatica Argentina presente a Bogotà.
E contro la moglie del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez accusandola di essere “una donna corrotta“.
Ma non sono solo queste le gaffe diplomatiche del presidente Milei, nel passato infatti aveva dato del “comunista corrotto al presidente del Brasile Luis Inácio Lula e del “socialista impoverito“ al presidente del Venezuela Nicolás Maduro.
Ha accusato financo il Pontefice, definendo Papa Francesco “comunista e rappresentante del Maligno in terra“, salvo poi abbracciarlo, in occasione della sua visita a Roma.
Esternazioni particolarmente, gravi perché rischiano di affossare, o quantomeno rinviare sine die, il progetto di integrazione latinoamericano.
Ma il meglio di sé l’ha dato nei confronti delle politiche sociali, basti pensare che: il tasso di povertà- secondo uno studio dell’Osservatorio Debito Sociale dell’Università Cattolica Argentina – coinvolge il 57 per cento della popolazione, pari a circa 27 milioni di persone (prima del suo avvento la popolazione al di sotto la soglia di povertà era del 40 per cento ). A questo proposito l’UNICEF sostiene addirittura che i bambini che potrebbero trovarsi in una situazione di povertà sono il 70 per cento; le stesse pensioni sono diminuite del 38 per cento e gli stipendi pubblici sono stati ridotti del 27 per cento.
Rispetto a queste misure anche i vescovi argentini hanno manifestato preoccupazione per la manovra fiscale e per “l’enorme insensibilità sociale“.
Nonostante tutto ciò poco più di un mese fa per la prima volta da decenni, il ministero dell’Economia ha annunciato con il massimo di enfasi un surplus fiscale, vale a dire che lo Stato aveva incassato più di quanto aveva speso.
Senza dire però che questo risultato è il frutto amaro:
● della sospensione di tutti i lavori pubblici: l’86 per cento dei cantieri risultano bloccati;
● del dimezzamento del personale dei ministeri, nei confronti dei quali ha utilizzato la mannaia;
● della liberalizzazione dei contratti d’affitto per ingraziarsi i proprietari degli immobili;
● del taglio dei fondi alle province.
E dulcis in fundo ha svalutato il pesos argentino di un ulteriore 50 per cento, spingendo così l’inflazione oltre il 276 per cento su base annua (prima era attestata al 142,8 per cento).
Una manovra che ha avuto effetti devastanti sul potere d’acquisto della popolazione, soprattutto dei pensionati.
È vero che il presidente Milei ha ereditato una economia in stagnazione poco aperta al commercio internazionale, indebitata e senza accesso al credito; ma è anche vero che le ricette di questo politico anomalo, fuori dagli schemi tradizionali (che si è dichiarato contrario all’aborto, favorevole alla vendita di armi da fuoco e di organi umani) si stanno rivelando fallimentari. Ecco perché si registra una ondata di proteste che sembra coinvolgere le più importanti città argentine e vasti settori della popolazione.
Contro le politiche di austerità e in difesa dell’Università pubblica e gratuita, frequentata da 2,2 milioni di studenti, si sono mobilitati in tutto il Paese oltre un milione di studenti, ricercatori, professori, 500 mila solo a Buenos Aires (150-200 mila secondo la polizia).
Il mondo della scuola protesta anche contro la scelta del governo di introdurre una legge per punire qualsiasi forma di indottrinamento nelle scuole, e punta il dito contro gli insegnanti che manifestano una chiara appartenenza ideologica. Proteste che sono state precedute da due scioperi generali in appena 5 mesi di governo del presidente Milei. L’ultimo, svoltosi il 9 maggio scorso, ha bloccato treni, metropolitana, autobus e paralizzato banche, scuole e uffici.
Per conoscere nel dettaglio gli altri movimenti di protesta, e gli eventuali sviluppi futuri, non ci resta che darvi appuntamento a questa sera alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!