La “luce” di Pasqua sull’ombra della guerra – Così è (se vi pare) #7

- Pubblicità -

Buonasera e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Così è (se vi pare)”

Poiché la Pasqua rappresenta per Gesù il passaggio dalla morte alla vita in questa puntata vorrei dare un modestissimo contributo per sottolineare l’importanza di questa festività per i Cristiani.

- Pubblicità -

E il modo migliore per dare un contributo mi sembra quello di occuparmi di una questione di prima grandezza, che non può più essere rimossa dalla nostra coscienza: oggi dirò la mia sulla questione della guerra, piaccia o non piaccia.

Anche se nel corso degli anni le abitudini legate alla Pasqua sono cambiate, dalla Pasqua ebraica alla Pasqua cristiana, i concetti espressi dal significato della festa restano gli stessi: liberazione, rinascita, pace.

Quindi in un periodo come quello che stiamo vivendo, purtroppo denso di violenza e di conflitti armati, i giorni della festa debbono essere utilizzati anche come un’opportunità per riflettere sul Bene e sulla verità.

Proprio per questo in questa puntata ho deciso affrontare il problema del rischio di un allargamento dei conflitti che si combattono tra Russia e Ucraina e tra Israele e Palestina.

Le conseguenze di queste guerre non sono solo connesse alla circolazione delle merci che fanno lievitare i costi, ma si ripercuotono anche sui disgraziati del mondo che non ricevono più il grano, sulla popolazione della Striscia di Gaza, bombardata e privata degli aiuti alimentari e sanitari, che arrivano con il contagocce.

Di fronte a tutto questo è arrivato il momento di dire pane al pane e vino al vino, perché siamo dentro una vera e propria economia di guerra che stiamo pagando duramente.

A questo proposito faccio solo un esempio: la crisi del Mar Rosso.

Questa crisi pesa in modo considerevole sui porti italiani, nel Sud in particolare colpisce soprattutto quello di Gioia Tauro, uno dei più attrezzati del Mediterraneo per accogliere e movimentare container.

Proprio lì a marzo 2024 gli approdi sono diminuiti: sono stati circa 600 in meno rispetto a quelli dello stesso periodo dell’anno appena passato.

Oltre all’abbigliamento, che assorbe il 48 per cento dell’import via mare da Cina e Bangladesh, rischi importanti stanno interessando anche il settore dei macchinari e dei metalli.

Se si considera che il valore dell’import-export italiano attraverso il Canale di Suez vale qualcosa come 154 miliardi si capiscono le conseguenze che potrebbe pagare l’Italia se il Mediterraneo perdesse convenienza per il commercio mondiale.

I settori della moda, della meccanica e dei macchinari di precisione dei prodotti agricoli e del Made in Italy pagherebbero un prezzo enorme.

Si, le conseguenze di questa guerra assurda non le stanno pagando né la Russia (nonostante le gravi sanzioni a cui è stata sottoposta) né gli americani, anzi forse sono quelli che in termini geopolitici ci stanno guadagnando di più; le conseguenze maggiori purtroppo le stanno pagando l’Europa e l’Italia.

Li stanno pagando con la perdita di peso specifico nello scacchiere mondiale perché l’Italia e l’Europa vengono percepiti: come soggetti incapaci di far pesare il loro ruolo sia nel conflitto russo-ucraino, sia nelle tensioni scatenate nel Medio-Oriente dopo il brutale assalto di Hamas; con il rincaro dell’energia e di numerose materie prime e con le risorse economiche che i Paesi Nato debbono destinare per rifornire di armamenti l’Ucraina.

Risorse economiche che invece, almeno per quando riguarda l’Italia, sarebbe meglio destinare alla sanità – visto il peso preponderante che sta acquisendo la sanità privata, viste le lunghe lista d’attesa e la fuga di medici e infermieri; e ad alleviare le sofferenze di quanti si trovano in condizione di povertà assoluta, che ci dice l’Istat nel 2023 sono 5.752.000, in crescita rispetto al 2022.

Ecco perché sono allibito di fronte alle dichiarazioni di Macron che afferma, a ogni piè sospinto, che i paesi che sono contro l’aggressione russa devono prepararsi a inviare uomini a combattere a fianco dell’esercito ucraino.

Sorprendenti e pericolose sono anche le affermazioni del presidente del Consiglio europeo, Chaarles Michel che dichiara candidamente, come se si trattasse di organizzare un pic nic “Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra. Serve spendere di più per la difesa e produrre più munizioni “.

Tutto ciò come se non fossimo già dentro ad una economia di guerra, e come se le spese militari dei Paesi U.E. aderenti alla Nato non arrivassero già complessivamente a 346 miliardi di euro (dato Enaat aggiornato al 2022), aumentata del 30 per cento in 8 anni e già 4 volte maggiore della spesa militare della Russia.

No! Non condivido questo paradigma. Io sto con il paradigma illustrato da Berlinguer e dal cardinale Zuppi che in momenti diversi (l’uno nel 1983 e l’altro in queste settimane) hanno fatto affermazioni di segno opposto quando hanno detto “Se vuoi la pace, prepara la pace“.

Dico questo non perché non abbia chiaro chi sia l’aggressore in Ucraina e non avverta il pericolo rappresentato da Putin, ma perché dopo due anni di guerra non possiamo uscircene come propongono Macron e il Presidente del Consiglio europeo.

E quindi, considerato tutto ciò, cosa occorrerebbe fare per fermare questa corsa agli armamenti? Come si può scongiurare il pericolo di una possibile terza guerra mondiale? Scopriamolo insieme questa sera!

Non ci resta che darvi appuntamento a questa sera alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!

- Pubblicità -