Meno rischi finanziari per l’intero “sistema Italia”: cala di quasi il 40% l’esposizione ai derivati, ma se lo Stato centrale ha di fatto azzerato la minaccia (-98%), è allarme per le imprese con una mina da 22 miliardi di euro sui loro bilanci. Dal 2019 al 2023 si è complessivamente ridotta la quota di derivati nei bilanci sia nei soggetti privati sia nel settore pubblico, con una diminuzione che sfiora i 100 miliardi, da 260 miliardi a 163 miliardi. Una riduzione significativa che vede protagoniste da un lato le banche, che hanno abbassato le perdite potenziali di oltre 76 miliardi (-35%) da 214 miliardi a 137 miliardi, e dell’altro lo Stato centrale e gli enti locali, che hanno abbassato i rischi di quasi 66 miliardi (-29%), da 228 miliardi a 162 miliardi. In controtendenza l’esposizione delle imprese cresciuta del 71% da 13 miliardi a 22 miliardi. È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui a cavallo della pandemia da Covid è aumentata di oltre 9 miliardi la potenziale perdita, derivanti dalla sottoscrizione di prodotti finanziari derivati, nei bilanci delle aziende italiane. «Se ci confortano i dati dello Stato centrale e degli enti locali, perché dimostrano una attenta conduzione della finanza pubblica negli ultimi anni, nonostante alcune questioni mal gestite, come i superbonus edilizi, dall’altro esprimiamo forte preoccupazione per lo salute finanziaria delle imprese, le cui scelte sono dovute spesso a consigli maldestri di soggetti in conflitto d’interesse. L’attenzione ai conti pubblici ha preso la giusta piega durante il governo guidato da Mario Draghi e la linea di prudenza è stata seguita, con diligenza, dall’esecutivo in carica retto da Giorgia Meloni» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
Secondo il report del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati statistici della Banca d’Italia, il totale delle perdite potenziali derivanti da prodotti finanziari derivati presenti nei bilanci di imprese, banche, assicurazioni, famiglie, Stato centrale ed enti locali, ammontava a fine 2023 a 162,9 miliardi: nel dettaglio, quelli delle imprese valevano 21,9 miliardi, quelli delle banche 137,8 miliardi, quelli delle assicurazioni 2,1 miliardi, quelli delle famiglie 309 milioni, quelli dello Stato centrale 646 milioni, quelli degli enti locali 147 milioni. Il quadro è progressivamente mutato negli ultimi anni, quelli a cavallo della pandemia da Covid. Se nel 2019 le imprese avevano 12,8 miliardi di passività sui bilanci ascrivibili ai derivati, alla fine dello scorso anno la quota era salita a 21,9 miliardi in crescita di 9,1 miliardi nel periodo osservato (+70,86%); c’è da dire che le imprese risultavano particolarmente esposte nel 2021, quando la mina derivati si era attestata a quota 44,1 miliardi. Aumento registrato anche per le assicurazioni, da 671 milioni a 2,1 miliardi, in salita di 1,4 miliardi (+211,33%) e per le famiglie (categoria che comprende le imprese familiari), da 69 milioni a 309 milioni, in crescita di 240 milioni (+347,83%). Quadro drasticamente migliorato, invece, sia per quanto riguarda le banche sia per quanto riguarda la pubblica amministrazione. Gli istituti di credito hanno tagliato i rischi in derivati per un importo pari a 76,4 miliardi (-35,68%), da 214,2 miliardi a 137,8 miliardi. Lo Stato centrale ha sostanzialmente azzerato la minaccia: se nel 2019, il pericolo valeva 31,2 miliardi, nel 2023 si è attestato ad appena 646 milioni, con un calo di 30,5 miliardi (-97,93%). Per quanto riguarda gli enti locali (comuni, province, regioni), si è registrata una riduzione di 898 milioni (-85,93%), da 1,1 miliardi a 147 milioni. In totale, il settore privato ha tagliato i rischi di 65,6 miliardi (-28,82%) da 227,8 miliardi a 162,2 miliardi, mentre il settore pubblico lo ha ridotto di 31,4 miliardi (-97,54%), da 32,2 miliardi a soli 793 milioni. Complessivamente, l’esposizione in derivati del “sistema Italia” è stata ridotta, dal 2019 al 2023, di 97,1 miliardi (-37,34%) da 260,1 miliardi a 162,9 miliardi.