Comprendere come i coralli rispondono al riscaldamento globale e all’acidificazione delle acque marine: questo lo scopo delle ricerche condotte da ricercatori degli Istituti di scienze polari (Cnr-Isp) e di scienze marine (Cnr-Ismar) del Consiglio nazionale delle ricerche, che hanno analizzato una serie di esemplari di questi preziosi organismi raccolti nelle acque dell’Oceano Pacifico.
Lo studio è stato svolto su esemplari di coralli coloniali Porites e Diploatrea prelevati tra il 2016 e il 2018 nell’ambito della spedizione scientifica coordinata da colleghi francesi del Centre National de la recherche scientifique (Cnrs) e monegaschi del Centre Scientifique de Monaco. La missione si è svolta a bordo della goletta Tara, l’imbarcazione messa a disposizione dalla Tara Ocean Foundation per monitorare lo stato di salute degli oceani e contribuire alla loro salvaguardia. Obiettivo: esplorare i meccanismi di calcificazione attivati da tali organismi per adattarsi meglio alle crescenti pressioni ambientali e climatiche che stanno mettendo a rischio la loro sopravvivenza.
I risultati – oggetto di diversi articoli scientifici, l’ultimo dei quali è pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment– evidenziano la capacità di alcune specie di corallo di modificare la composizione chimica del fluido calcificante, cioè il processo che permette la formazione dello scheletro carbonatico, così attivando una “risposta” cruciale per contrastare le minacce ambientali: “Utilizzando carote prelevate dai subacquei, abbiamo esaminato l’impronta geochimica celata nello scheletro in aragonite dei coralli coloniali Porites e Diploastrea”, spiega Paolo Montagna (Cnr-Isp). “Questi coralli sono caratterizzati da notevole longevità, e sono molto diffusi nelle scogliere coralline tropicali alla cui architettura contribuiscono in maniera sostanziale: i nostri studi dimostrano che sono capaci di regolare in modo sistematico il pH e il carbonio inorganico disciolto del fluido calcificante, favorendo così il processo di calcificazione, direttamente minacciato dalla progressiva acidificazione degli oceani. In particolare, abbiamo scoperto che Porites presenta una maggiore resistenza al riscaldamento globale e all’acidificazione degli oceani rispetto a Diploastrea”, aggiunge il ricercatore.
La spedizione ha, così, offerto l’opportunità di studiare le modalità di calcificazione di alcuni dei più importanti coralli costruttori degli ambienti tropicali in un momento in cui il futuro delle scogliere coralline tropicali è allarmante: molteplici studi prevedono, infatti, un loro drastico declino già entro i prossimi vent’anni e la completa scomparsa entro la fine del secolo, se non verranno messe in atto adeguate azioni a livello globale per mitigare l’impatto climatico.
Prosegue Marco Taviani, ricercatore del Cnr-Ismar di Bologna: “E’ noto che il Porites è uno dei coralli più resistenti alle avversità ambientali, come testimoniato anche dal fatto che è stato uno dei pochissimi coralli tropicali a sopravvivere alle fasi iniziali della crisi di salinità miocenica, nel Messiniano, prima di soccombere come il resto della fauna marina mediterranea. Tuttavia, la capacità di certe specie di adattarsi a condizioni difficili non deve indurre a eccessivo ottimismo”. “Sebbene la loro adattabilità ai cambiamenti climatici in atto possa apparire come un’ultima difesa per la sopravvivenza delle barriere coralline che da decine di milioni di anni caratterizzano la fascia tropicale, la maggior parte delle specie andrà incontro ad un collasso, innescando effetti a catena disastrosi sulla biodiversità del pianeta. È importante e urgente, quindi, individuare strategie per mitigare al massimo gli effetti negativi della crescente pressione antropica, prima che sia troppo tardi” conclude Paolo Montagna.
Lo studio giunge a poche settimane dall’arrivo in Italia della goletta Tara, che nel corso della primavera esplorerà varie località del Mar Mediterraneo nell’ambito della spedizione “TREC – Traversing European Coastlines”, con l’obiettivo di studiarne la biodiversità e gli effetti dei contaminanti sugli organismi marini.