Come lo Stato mette a rischio le piccole e medie imprese – “Comu veni si cunta”

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Buona sera e ben ritrovati nella rubrica di Hasthag Sicilia “Comu veni si cunta“.

La tentazione di parlare degli orrori della guerra che si registrano in Ucraina e in medio Oriente è forte, ma non lo faccio, perché qualsiasi ragionamento io possa prospettare non cambierà il corso delle cose.

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L’unica cosa che mi sento di dire a questo proposito è che l’Occidente, l’Europa e gli Stati Uniti arrivano sempre in ritardo, quando non si può fare più nulla per evitate il proliferare di altre guerre.

Non parlo neppure della proposta di Legge di Bilancio del governo di cui si discute in questi giorni al Senato, perché ancora oggi non si capisce realmente quali obiettivi voglia raggiungere la presidente Meloni, e su quali questioni le opposizioni intendano dare battaglia.

L’unica cosa che si può dire a riguardo è che nonostante l’Italia abbia 2mila 870 miliardi di euro di debito e paga ogni anno oltre 80 miliardi di soli interessi, il governo per far quadrare i conti non taglia la spesa improduttiva, non impone più tasse ai detentori di grandi patrimoni , non tocca la cosiddetta tassa piatta (flat tax) per i super ricchi, voluta nel 2016 dal governo Renzi e sfruttata da 2.142 ricconi (a cui non viene chiesto neppure di investire in Italia), il governo decide, invece, di fare altri debiti, che naturalmente saranno lasciati in eredità ai nostri figli.

E al tempo stesso il Governo non offre una soluzione concreta alla richiesta di proroga del Superbonus, un problema che riguarda da vicino migliaia di lavoratori, famiglie e imprese che in buona fede hanno avviato i lavori e ora rischiano di trovarsi in gravi difficoltà.

Chi non completerà i lavori entro la fine dell’anno potrà continuare ad usufruire del Superbonus, ma con una percentuale del 70 per cento, non più del 110 per cento.

Ma nonostante la proroga sia stata sollecitata da tutta la filiera dell’edilizia, dai costruttori dell’ANCE e di Federcostruzioni, dai sindacati di categoria e delle associazioni artigiane, per scongiurare lo stop ai lavori e il rischio sulla sicurezza dei lavoratori, il governo Meloni ha detto no.

Ma su queste questioni non aggiungo altro, anche per evitate di rovinarmi ulteriormente il fegato.

Questa sera, invece, vi parlerò del fatto che lo Stato italiano continua ad acquistare beni e servizi dalle imprese ma paga con il contagocce, mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di piccole aziende.

Questa triste verità non la rivela Peppe Nappa (la maschera siciliana della commedia dell’arte, assurta a simbolo del carnevale di Sciacca), ma emerge dai dati della Corte dei Conti, elaborati dal centro studi della CGIA di Mestre.

Infatti, a fronte di 3milioni e 737mila fatture ricevute per un importo di oltre 20 miliardi di euro, l’amministrazione dello Stato ne ha pagate esattamente 2milioni 552mila, liquidando alle imprese 14,8 miliardi di euro.

Mancano ancora all’appello 1milione e 185mila fatture, per un ammontare di circa 5 miliardi e 500 milioni di euro.

Detto in parole più semplici: lo Stato ha acquistato beni e servizi e realizzato opere pubbliche, ma poi non ha pagato una impresa su tre, spingendo verso la rovina moltissime piccole realtà imprenditoriali, le quali, se vogliono evitare il fallimento, di fronte al niet del sistema creditizio, debbono ricorrere agli strozzini.

Ad essere penalizzate da questa situazione sono soprattutto le piccole imprese perché – sostiene la Corte dei Conti – la pubblica amministrazione da qualche tempo procede a liquidare le fatture di maggiore importo entro i termini di legge per mantenere così l’indice di Tempestività dei Pagamenti entro i tempi previsti dalla norma.

Nel contempo però ritarda scientificamente il pagamento delle fatture con importi più bassi, vale a dire quelle emesse da artigiani e piccole imprese che hanno fornito beni e servizi ed eseguito lavori per conto dell’amministrazione centrale.

Sempre la CGIA rivela che i mancati pagamenti di cui sopra non includono quelli di Regioni, province, aree metropolitane, comuni, aziende sanitarie, di quegli enti cioè che soprattutto in Sicilia e nel Sud hanno tempi di pagamento e debiti commerciali molto superiori rispetto a quelli dello Stato centrale.

Basti pensare che l’importo del debito di parte corrente della Pubblica Amministrazione ammonta a quasi 50 miliardi di euro, lo stesso importo rilevato prima della pandemia.

In rapporto al PIL i mancati pagamenti in Italia ammontano al 2,6 per cento, l’incidenza più alta che si registra nell’Europa a 27.

Non a caso proprio l’Europa ha avviato una nuova procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese che quando sarà accertata comporterà il pagamento di pesanti sanzioni.

Non si tratta di bruscolini dato che, in base alla relazione annuale della Corte dei Conti sui rapporti tra l’Italia e l’Unione europea, l’Italia ha dovuto pagare oltre 800 milioni di euro in 10 anni a causa di infrazioni.

Questo perché gli Stati hanno il compito di recepire nel loro ordinamento le Direttive europee. Se non lo fanno e non le rispettano possono incorrere in una procedura formale di infrazione.

Ma a prescindere da come si svilupperà la procedura d’infrazione legata ai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e delle eventuali ripercussioni che potrà avere sul Bilancio dello Stato, mi chiedo: che fare per venire incontro agli artigiani e ai piccoli imprenditori che rischiano di fallire o di consegnarsi agli usurai?

Scopriamolo insieme questa sera! Vi diamo appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!

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