Le PMI italiane ed europee rischiano di rimanere indietro nella corsa verso la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile, con gravi conseguenze ambientali, energetiche ed economiche. A rivelarlo è un recente report della Commissione Europea – Eurobarometro, dal quale emerge come in media quasi il 40% delle PMI nell’Unione europea a 27 stati abbia difficoltà nel divenire più sostenibile per l’ambiente per via delle difficoltà di reperimento di personale specializzato. Il problema è più accentuato per Francia (44,9%) e Italia (42,9%) rispetto a Germania (39,4%) e Spagna (34,8%). Nello specifico per quanto riguarda il nostro paese mancano 686.550 figure professionali con competenze “green oriented”. Analizziamo il problema e le sue possibili conseguenze.
Il contesto e il gap tra domanda e offerta
Il problema della carenza di esperti “green” si inserisce paradossalmente in un contesto di grande risveglio per il mercato del lavoro. Infatti, stando ai dati di Confartigianato, nel secondo trimestre del 2023 l’Italia era risultata la prima economia del G7 per crescita del tasso di occupazione (+1,1 punti nell’ultimo anno), facendo meglio degli Stati Uniti (+0,7 punti), Germania (+0,6 punti), Francia e Giappone (+0,4 punti), Regno Unito e Canada (+0,2 punti). Nell’agosto di quest’anno gli occupati italiani sono risultati 523 mila in più (+2,3%) rispetto al 2022, sia per via dall’aumento dipendenti permanenti (+3,7%) e indipendenti (+1,0%), sia per la diminuzione del numero di dipendenti a termine (-2,4%); anche se a rovinare parzialmente il quadro arriva la nuova previsione di assunzione delle imprese monitorate da Unioncamere-Anpal, che per il trimestre ottobre-dicembre 2023 indica una flessione dell’1,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In un quadro di questo tipo, nel suo complesso abbastanza positivo, è cresciuta anche la domanda specifica di personale “green oriented”, segnando un aumento del 20,5% dal 2021 al 2022, e con una previsione al rialzo per il salto tra il 2022 e il 2023. Nonostante ciò la difficoltà di reperimento di questi esperti è aumentata di 7,4 punti nell’arco solo anno; a dimostrazione di come, a fronte della grande domanda, vi sia, in proporzione, poca offerta.
Le ripercussioni e i risultati dello studio Eurobarometro
La mancanza di personale specializzato in grado di indirizzare le strategie delle aziende verso soluzioni “green” ha diverse conseguenze. A livello della singola realtà imprenditoriale vi sono senz’altro maggiori costi energetici, dati dal fatto che magari usando fonti di energia rinnovabile si andrebbe ad ottimizzare la propria efficienza energetica e così si coprirebbe diversamente una parte del fabbisogno di corrente elettrica della propria azienda. Ciò aiuterebbe anche ad abbassare la necessità di utilizzo di fonti combustibili fossili. A livello globale invece ciò porterebbe ad una riduzione delle emissioni di CO2 e ad un minore inquinamento atmosferico, concorrendo a far raggiungere i traguardi dell’Agenda UE 2030 – ancora abbastanza lontani. Sulla necessità di raggiungere obiettivi di questo tipo si schiera anche la maggioranza degli intervistati da uno studio della Commissione Europea (condotto nell’ambito della serie di sondaggi noto come Eurobarometro). Gli esperti hanno sottoposto ad un’intervista 26358 cittadini europei in un periodo che andava dal 10 maggio al 15 giugno 2023. E’ emerso che quasi nove europei su dieci (87%) credono che sia importante che l’UE fissi obiettivi ambiziosi per aumentare il ricorso alle energie rinnovabili. Una percentuale analoga (85%) ritiene altrettanto cruciale che l’UE intervenga per migliorare l’efficienza energetica. I cittadini hanno evidenziato anche la necessità di altre riforme che accompagnino l’azione individuale, segnalando anche la responsabilità dei governi nazionali (56%), dell’UE (56%), delle imprese e dell’industria (53%).
Il dettaglio della situazione in Italia, regione per regione
L’Italia complessivamente dimostra in media una difficoltà di reperimento di personale specializzato in pratiche green quantificabile in un 46,6%. Il grafico qui di seguito spiega quanto le imprese facciano fatica a guadagnare una percentuale delle proprie entrate strettamente legate agli aspetti green. Il Trentino-Alto Adige è la regione italiana che in questo senso fa peggio. A seguire – fino ad arrivare a metà classifica – troviamo Friuli Venezia Giulia con 53,8%, Veneto con 52,9%, Umbria con 52,1%, Liguria con 51,2%, Emilia Romagna con 50,4%, Piemonte-Valle d’Aosta con 49,0%, Lombardia con 48,7%, Marche con 47,8% e Toscana con 47,5%. Come vediamo la Sicilia è quart’ultima in questa classifica, e per una volta ciò rappresenterebbe una buona notizia, ma sfortunatamente questa informazione si può leggere anche in un altro modo. Infatti come notiamo la parte bassa della classifica è occupata da regioni del sud, e ciò non è un caso. Proprio nel meridione, per carenze endemiche rispetto alle altre parti d’Italia, è più difficile trovare aziende strutturate in modo tale da far dipendere parti così consistenti delle proprie entrate economiche da aspetti green. Quindi, anche in questo caso, la nostra regione non può davvero tirare un sospiro di sollievo.