Buona sera e ben ritrovati nella rubrica di Hasthag Sicilia “Comu veni si cunta“.
Giuro di non avere invidiato mai nessuno, non solo perché sin da bambino mi hanno terrorizzato dicendomi, a casa e a scuola, che l’invidia è una terribile fonte di infelicità per moltissimi uomini, ma anche perché, per dirla con Socrate: “L’invidia è l’ulcera dell’anima“.
Ma nonostante gli insegnamenti ricevuti devo confessare che, dopo le rivelazioni del nuovo Messia, impersonato dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, ho cominciato a odiare i poveri perché, pur non essendo ricco, non sopporto che i poveri mangiano meglio dei ricchi.
Si, invidio quell’esercito fatto di 5.571.000 persone che vivono in stato di povertà assoluta, perché ogni giorno mangiano nei rinomati ristoranti della Caritas e spesso si nutrono delle prelibatezze che trovano nelle ceste gentilmente abbandonate nei mercati dagli ambulanti o delle pietanze cucinate inconsapevolmente in eccesso da trattorie e rosticcerie, i cui gestori, poco prima della chiusura, da buon samaritani, distribuiscono gratis per la felicità, per l’appunto, dei poveri.
Confesso anche che la cosa che mi fa girare i cosiddetti “cabbasisi” è che a vivere questa condizione di privilegiati non sono solo i poveri, ma anche tanti lavoratori, anche autonomi perché, nonostante gli aumenti dei prezzi che hanno visto lievitare il costo del pane del 32 per cento, quello della pasta del 39 per cento, quelli del riso e dei pomodori rispettivamente del 33 e del 25 per cento, continuano a mangiare meglio dei ricchi come ha detto il cognato della presidente Meloni.
Badate io non ho 15 mila euro al mese, oltre l’indennità di ministro come il nuovo “Messia“, non godo neppure di una pensione d’oro o d’argento e però non vengo considerato povero, quindi non posso né potrò permettermi il lusso di mangiare meglio dei ricchi.
A sostegno della tesi del ministro sono scesi in campo luminari della scienza, cuochi famosi come Vissani che ha sostenuto che “il ministro ha ragione da vendere quando afferma che i poveri mangiano meglio dei ricchi perché i poveri, a differenza dei ricchi, sanno riconoscere le cose buone e genuine e sanno come si può mangiar bene spendendo poco“.
Famosi giornalisti come Bruno Vespa il quale si è chiesto:“chi può avere dubbi sul fatto che la povera dieta di un pensionato italiano sia più salutare di quella di un obeso milionario americano? E ha concluso dicendo non a caso i nostri vecchi campano di più“.
E come se non bastasse udite, udite a sostegno della “rivelazione “ del ministro si è scomodata anche la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato.
Si, l’onorevole Ignazio La Russa che si è spinto sino ad invitare la segreteria del partito democratico, Elly Schlein a mangiare con lui uno dei piatti poveri per eccellenza: La pasta alla norma, battezzata così da un certo Nino Martoglio che di professione non faceva il povero, ma il regista, lo scrittore e il poeta.
Non so se la Schlein abbia accettato di sedere alla mensa del Presidente del Senato o se abbia declinato l’invito perché magari non le hanno proposto in alternativa una pasta aglio e olio o allo scarpariello, quello che so è che le cose non stanno esattamente come pensa il ministro Lollobrigida e i suoi autorevoli sostenitori, compresi quelli che sostengono che i poveri mangiano meglio perché si riforniscono direttamente dai contadini.
A dirlo non sono solo io che sono l’ultima ruota del carro, ma autorevoli studiosi e alcuni dati.
Infatti il professore Lopalco, docente d’Igiene all’università di Salerno sulla base di alcuni dati Istat sostiene che disoccupati e operai mangiano meno verdura, ortaggi e frutta rispetto agli occupati e ai dirigenti, mentre il professore Mauro Minelli, docente di Dietetica e nutrizione alla Libera università mediterranea afferma, al riguardo: “chi non può permettersi il meglio non può vivere meglio“.
Infine, rispetto alla tesi, un po’ romantica, secondo la quale i poveri mangiano meglio dei ricchi perché comprano i prodotti direttamente dal produttore dico, senza paura di essere smentito, che i fatti dimostrano esattamente il contrario.
I dati, infatti , oltre a dirci che il 72 per cento degli italiani per risparmiare fa la spesa nei superdiscount ci dicono anche che:
- l’insalata gentile al supermercato costa 2,99 euro al chilo mentre dal contadino 3 – 4 euro;
- I peperoni al supermercato costano 2,88 euro al chilo dal contadino 3,50 -3,80 euro;
- I pomodori da insalata al supermercato si pagano 1,80 – 2,80 dal produttore 3,50 euro al chilo;
- le melanzane si pagano 1, 99 euro al chilo al supermercato e 2 – 2,80 euro al chilo dal produttore.
E le cose non cambiano neppure per la frutta tant’è che un chilo di melone al supermercato si paga 2,20 – 2,50 euro mentre dal produttore costa 3 euro al chilo , le susine nella grande distribuzione costano 1,98 euro al chilo mentre dal contadino 2,50 – 3 euro.
Questo non perché i contadini siano brutti, cattivi e profittatori, ma perché se decidono di vendere direttamente i propri prodotti applicano come tutti gli imprenditori le leggi di mercato.
Dico queste cose non perché mi è antipatico il ministro dell’agricoltura, ma perché mi piace dire pane al pane e vino al vino.
E proprio perché mi piace dire pane al pane e vino al vino dico subito che non mi sono piaciute le reazioni alle affermazioni fatte dal cognato della presidente Meloni (credo non a nome del governo ma a titolo personale) dagli esponenti dei partiti di opposizione.
È sacrosanto indignarsi davanti a certe affermazioni come hanno fatto giustamente i massimi esponenti del PD, dei 5/ Stelle e dei rappresentanti dei partiti di sinistra, ma mi chiedo: “il compito di chi si oppone a questo governo può essere solo quello di indignarsi?“
Personalmente penso proprio di no, perché sono assolutamente convinto che non si può creare un alternativa al governo Meloni solo indignandosi rispetto a certe affermazioni o polemizzando sui termini che utilizzano alcuni ministri o con le esternazioni farneticanti di un generale privo di incarichi di rilievo. Non si può neppure creare un’alternativa in Sicilia solo denunciando le liti tra i partiti di governo sulla spartizione dei posti di sottogoverno di enti e istituzioni varie o accusando il presidente Schifani di non fare nulla di fronte allo scippo delle risorse destinate alla Sicilia dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Una alternativa si costruisce, a mio giudizio, se ogni giorno ci si occupa concretamente dei problemi veri delle persone in carne ed ossa: di chi ha perso il reddito di cittadinanza e non sa a che Santo votarsi; delle famiglie e delle imprese che sono state gettate sul lastrico perché non riescono più a cedere il credito del Superbonus; dei giovani che continuano a emigrare in cerca di un posto di lavoro; di chi ha bisogno; degli anziani e dei fragili, di quei soggetti a cui il governo Schifani non riesce a garantire livelli adeguati di cure e assistenza; degli ammalati che per una visita specialistica devono aspettare dieci mesi o più di un anno; di quella porcheria dell’autonomia differenziata.
È giusto battersi sul salario minimo e sui diritti, ma se si vuole rappresentare un alternativa di governo serve innanzitutto una visione dell’Italia del futuro e una proposta programmatica in grado di incontrarsi con gli interessi concreti di chi si vuole rappresentare.
Percorrere altre strade vuol dire fare propaganda e con la propaganda penso che non si faccia molta strada nella costruzione di un’alternativa vera ai governi di Roma e della Sicilia.
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