Banche: Unimpresa, con deducibilità gettito tassa extraprofitti cala a 1,3-1,5 miliardi

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Si potrebbe ridurre a 1,3-1,5 miliardi di euro, rispetto alla stima di 2-2,5 miliardi, la tassa sugli extraprofitti delle banche varata dal governo nel decreto “asset”. Il conto finale del gettito statale versato dal settore bancario, infatti, potrebbe calare di circa 800-900 milioni di euro se, nel corso dell’iter parlamentare, il provvedimento dovesse essere modificato accogliendo la richiesta delle banche volta a rendere deducibile l’importo della nuova tassa. Importo che potrebbe essere considerato un costo aziendale e, pertanto, deducibile fiscalmente, al pari di altre voci del bilancio, sia dall’Ires (imposta sulle società) sia dall’Irap (imposta regionale per le attività produttive). È quanto emerge dai calcoli del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale in linea teorica, la nuova tassa sulle banche vale 3 miliardi e 289 milioni ovvero, come stabilito dalle norme ora all’esame delle camere, lo 0,1% degli attivi delle banche nel 2022 pari a 3.289 miliardi complessivamente. “L’impatto si potrebbe ridurre, ma a mio giudizio non verrebbe ridimensionato l’alto valore politico dell’intervento deciso dal governo. Per i vertici delle banche l’importo da versare nelle casse dello Stato sarebbe più che digeribile sul piano economico, ma resterebbe un boccone particolarmente amaro da masticare: per la prima volta dopo tanti anni, infatti, la politica tornerebbe a dare un segnale forte a un settore, quello finanziario, che troppo a lungo è stato lasciato fuori controllo. Noi siamo per il libero mercato, per la concorrenza, ma non è accettabile che la politica monetaria, come è accaduto nell’ultimo anno, possa giovare solo alle banche che nulla o molto poco restituiscono alla clientela in termini di remunerazione dei conti e dei depositi” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, nella prima versione del decreto, il gettito, calcolato sulla base del 25% massimo del patrimonio netto e del differenziale del margine d’interesse tra il 2023 e il 2021 in ragione della soglia minima del 6%, sarebbe stato pari a 9,1 miliardi. Questa somma è scesa a 3,2 miliardi alla luce delle precisazioni arrivate martedì dal ministero dell’Economia e delle finanze che, di fatto riscrivendo il testo licenziato 24 ore prima dal consiglio dei ministri, ha stabilito come soglia massima lo 0,1% degli attivi del settore bancario, prendendo come riferimento i bilanci 2022. Lo scorso anno le “disponibilità finanziarie” e il patrimonio delle banche si sono attestate a 3.289 miliardi: vuol dire, pertanto, che il tetto dell’imposta potrebbe essere pari a 3 miliardi e 289 milioni. È tuttavia verosimile che quest’importo possa calare di almeno il 25% considerando che non tutte le banche, a fine anno, avranno ottenuto il massimo sul fronte del margine d’interesse. Il saldo del gettito, quindi, calerebbe 2 miliardi e 466 milioni o meno. Da questa somma, le banche potrebbero ottenere lo “sconto” fiscale di 800-900 milioni: ne consegue che la stretta fiscale sugli extraprofitti calerebbe a 1,2-1,5 miliardi. Quanto all’impatto sulle principale banche, rispetto ai 3,2 miliardi, i primi cinque gruppi bancari del Paese sarebbero chiamati a “sborsare” 2,3 miliardi.

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