Studio su «Nature Communications» ha permesso di comprendere il ruolo del cambiamento di fase dell’acqua sul comportamento delle rocce in condizioni simili a quelle che caratterizzano i sistemi geotermici ad alta temperatura.
L’incremento esponenziale di concentrazione di CO2 nell’atmosfera negli ultimi due secoli, risultato della combustione di idrocarburi e carbone per la produzione di energia, ha e avrà conseguenze di straordinaria portata sull’umanità e sulle future generazioni. L’aumento della temperatura media terrestre, la maggiore frequenza di fenomeni meteo estremi, la desertificazione di ampie regioni della Terra e l’innalzamento del livello del mare sono alcuni dei tanti esempi dell’impatto dell’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera. La repentina variazione climatica alla quale stiamo assistendo comporta e comporterà, come avvenuto in tempi storici per crisi ambientali di minor portata, grandi fenomeni migratori e, probabilmente, scatenerà ulteriori guerre.
Lo sfruttamento di energia geotermica, ottenuta impiegando il calore terrestre sotto i nostri piedi, può contribuire ad abbattere le emissioni di CO2. In particolare, l’energia geotermica ad alta temperatura, che sfrutta fluidi che superano i 150°C, è già impiegata con successo per la produzione di energia elettrica e per il riscaldamento delle nostre abitazioni.
Un sistema geotermico ad alta temperatura ha bisogno di fluidi (acqua), di una sorgente di calore (rocce calde posizionate alla profondità di pochi km) e un sistema di fratture “aperte” (permeabilità) che consenta al fluido di migrare ed interagire con le rocce e scambiare calore. A volte queste condizioni sono contemporaneamente soddisfatte, come nel caso del campo geotermico di Larderello in Toscana che produce il 10% dell’energia geotermica mondiale. Più frequentemente, esistono rocce calde a pochi km di profondità (<4-5 km), ma non vi è acqua o le rocce hanno una bassa permeabilità. Per questa ragione si procede all’iniezione di acqua in profondità, e ciò avviene anche in campi geotermici dove vi è disponibilità di acqua per problemi di sostenibilità del sistema geotermico.
Ma l’iniezione di fluidi in profondità, processo industriale indispensabile per la produzione di energia geotermica, può generare terremoti. Due casi eclatanti sono quelli di Pohang in Corea del Sud nel 2017 (magnitudo Richter 5.5) e di Basilea in Svizzera (magnitudo 3.4) dove in seguito agli eventi sismici sono state sospese le attività industriali.
È evidente che lo sfruttamento in sicurezza delle risorse geotermiche richiede maggiori conoscenze del comportamento delle rocce e delle faglie, le strutture geologiche che producono terremoti, in presenza di fluidi caldi (> 150°C) e pressurizzati (centinaia di atmosfere). In queste condizioni l’acqua può essere allo stato liquido, vapore o, sopra i 374°C, supercritico (uno stato intermedio tra quello liquido e gassoso). Un problema analogo riguarda la sismicità naturale che è spesso associata alla migrazione di fluidi, però in genere a profondità maggiori (> 6-7 km) all’interno della crosta terrestre. Tuttavia ancora oggi sappiamo poco di come nascono e si propagano i terremoti, sia quelli naturali che quelli prodotti dall’uomo. Una delle tante ragioni è la difficoltà di riprodurre in laboratorio, quindi in condizioni controllate, il comportamento delle rocce e delle faglie durante il ciclo sismico in presenza di fluidi caldi e pressurizzati con transizioni di fase dell’acqua.
Uno studio pubblicato sulla rivista «Nature Communications», realizzato impiegando apparati sperimentali di nuova concezione installati presso i laboratori del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e del centro di eccellenza della China Earthquake Administration di Pechino, mostra che l’attrito (o resistenza allo scivolamento) delle rocce cambia anche in funzione dello stato fisico dell’acqua. In particolare, la resistenza delle faglie sperimentali raddoppia quando l’acqua passa dallo stato supercritico e liquido allo stato di vapore, specie quando i blocchi di roccia, come nelle faglie naturali, sono fatti scivolare per alcuni centimetri (equivalenti a spostamenti di terremoti di magnitudo maggiore di 3).
«Queste osservazioni sperimentali spiegano diverse caratteristiche della sismicità osservata in campi geotermici, tra cui la profondità degli ipocentri – spiega Wei Feng che ha appena completato il dottorato di ricerca presso il Dip. di Geoscienze dell’Università di Padova ed è il primo autore dello studio -. Questi ultimi sono spesso situati proprio alla profondità in cui si stima che l’acqua passi dalla fase supercritica (condizioni che consentono alle faglie di “scivolare” senza produrre terremoti) a vapore (condizioni dove le faglie si bloccano consentendo il caricamento di energia elastica nelle rocce che viene poi rilasciata durante terremoti)».
«Siamo particolarmente orgogliosi di questi risultati, frutto di anni di lavoro per sviluppare una macchina sperimentale unica al mondo insieme alla gemella installata a Pechino, e portato avanti da un gruppo di ricerca internazionale composto da giovani ricercatori e ricercatrici – commenta Giulio Di Toro, professore di Geologia e Meccanica dei Terremoti presso l’Università di Padova, che ha coordinato questa ricerca -. Questa attività di ricerca non sarebbe stata possibile senza il contributo della Fondazione CA.RI.PA.RO, che ha finanziato nel 2010 l’acquisto della macchina sperimentale ROSA che consente di studiare il ciclo sismico in laboratorio, e della Protezione Civile Italiana che nel 2020-22 ha sostenuto l’acquisizione e lo sviluppo della cella idrotermale HYDROS per effettuare esperimenti con fluidi caldi e pressurizzati (fino a 450 °C e 700 atmosfere). Inoltre è stata fondamentale la collaborazione con il China Earthquake Administration di Pechino che ci ha consentito di effettuare esperimenti nei loro laboratori quando la cella idrotermale HYDROS, a causa della pandemia, non era ancora operativa a Padova».
Questi studi andrebbero ulteriormente approfonditi per comprendere i processi chimici e fisici responsabili del diverso comportamento delle faglie in presenza di acqua allo stato liquido, vapore o supercritico. Inoltre, le ricerche andrebbero espanse ad altri tipi di rocce per rendere possibile lo sfruttamento dei sistemi geotermici, oltre che sostenibile, sempre più sicuro.
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