Per quanto il concetto di circolarità sia un punto fermo nel dibattito pubblico, la sua accezione è ampia e necessita di essere definito in maniera chiara. Fare chiarezza sulla definizione e sulla finalità di promuovere la circolarità è fondamentale per incentivare la sostenibilità nelle catene del valore: le azioni attualmente volte alla circolarità possono focalizzarsi in maniera eccessiva su effetti fittizi e contribuire a consolidare politiche e infrastrutture che non riescono a spianare la strada verso una reale sostenibilità.
In un nuovo articolo scientifico pubblicato oggi sul Journal of Waste Management, quattro scienziati del Politecnico di Milano, della Brunel University di Londra, della University of Southern Denmark e della Wageningen University & Research ci ricordano che “circolarità” non è necessariamente sinonimo di “sostenibilità”. Pertanto, gli sforzi per raggiungere la circolarità non sempre garantiscono un risultato sostenibile.
Ottenere una maggiore circolarità dei materiali, dei componenti e dei prodotti di imballaggio rappresenta oggigiorno un percorso importante intrapreso da politici e imprese per ridurre gli impatti ambientali negativi causati dal ciclo di vita degli imballaggi. Per quanto il concetto di circolarità sia divenuto un punto fermo nel dibattito pubblico, la sua accezione è ancora ampia e si rende necessario definirlo con precisione, andando oltre l’uso di parametri e indicatori non adatti allo scopo o non facili da misurare, come i tassi di raccolta, i tassi di riciclaggio, il contenuto di riciclato, il contenuto di materiale bio-based, ecc. Avvalersi di tali indicatori per misurare la circolarità non riesce a cogliere le realtà del sistema o gli effetti più ampi, tra cui i potenziali effetti rimbalzo che possono vanificare o addirittura ribaltare i benefici ambientali.
Come esempio di approccio significativo e pratico, i quattro ricercatori Lucia Rigamonti del Politecnico di Milano e i colleghi Ciprian Cimpan, Eleni Iacovidou, ed Eggo U. Thoden van Velzen propongono una scheda di valutazione della circolarità incentrata sul prodotto che riesce a cogliere gli aspetti in grado di dimostrarne la sostenibilità ambientale. Si basa su 7 semplici domande che coprono il ciclo di vita di un prodotto: produzione, utilizzo e fine vita. Tale approccio di “buon senso” richiama la gerarchia dei rifiuti stabilendo un semplice ordine di priorità che nella maggior parte dei casi si rivela valido.
“Le azioni attualmente volte alla circolarità possono focalizzarsi in maniera eccessiva su effetti superficiali e perdere di vista i veri obiettivi dell’economia circolare“, sostengono i quattro ricercatori. “Il nostro obiettivo è quello di dare il via a una discussione scientifica su come combinare al meglio le conoscenze scientifiche e la ricerca sui flussi di materiali, componenti e prodotti in tutta la società per raggiungere il più ampio obiettivo della sostenibilità, rimanendo al passo con le tempistiche imposte dal ritmo delle decisioni aziendali e politiche. Per questo chiediamo obiettivi di circolarità significativi, per evitare che le decisioni aziendali o politiche contribuiscano involontariamente a consolidare politiche e infrastrutture che non contribuiscono a una reale sostenibilità“.
In un contesto in cui la Commissione europea propone di trasformare la direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio in un regolamento direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dell’UE, diventa di fondamentale importanza non perdere di vista gli obiettivi reali dell’economia circolare. In un momento in cui gli Stati membri stanno per introdurre nuove leggi sui rifiuti di imballaggio e in cui la comunità imprenditoriale si sta impegnando a raggiungere obiettivi ambiziosi per accrescere la circolarità dei propri prodotti, è fondamentale raggiungere una circolarità significativa, inclusiva e pratica che promuova la sostenibilità!
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