“Potere d’acquisto in calo, detassare aumenti retributivi”.
La fiducia delle imprese continua a crescere, anche grazie alle attese per la stagione turistica primaverile, confermate dalle buone performance di Pasqua e 25 aprile, che in molte località italiane ha sancito il ritorno dei flussi dei visitatori ai livelli pre-pandemia. In controtendenza, invece il dato dei negozi della distribuzione tradizionale, tra i pochi comparti a mostrare un peggioramento del clima. A pesare sulle aspettative degli operatori, il rallentamento delle vendite del commercio al dettaglio che si è già registrato nei primi due mesi dell’anno (-5,2% in volume) dovuto a caro-bollette e inflazione.
Così Confesercenti, in una nota, commenta il dato Istat di oggi sulla fiducia di consumatori ed imprese di aprile.
Grazie al rallentamento della corsa dei prezzi dei beni energetici, le famiglie vedono delle prospettive più ottimistiche, ma ancora subiscono i contraccolpi della riduzione del potere d’acquisto che le ha costrette ad erodere i risparmi. A incidere sulla spesa delle famiglie è sia la corsa delle tariffe energetiche, sia l’aumento dei prezzi da questa innescato. Nel 2022 gli aumenti in bolletta hanno bruciato 12 miliardi di potere d’acquisto degli italiani. E nel 2023 pagheranno per l’energia ancora quasi 8 miliardi in più rispetto al 2021. Il commercio al dettaglio, ovviamente, ne risente. A febbraio, per la prima volta in cinque mesi, le vendite di alimentari si sono ridotte anche in valore. Secondo le nostre stime, il 2023 si chiuderà con un calo del volume delle vendite del -2,5%, un crollo di cui stanno risentendo soprattutto le piccole superfici.
In questo quadro, è fondamentale introdurre misure per aiutare le famiglie a recuperare il potere d’acquisto eroso da inflazione e bollette e stabilizzare le aspettative positive che stanno emergendo. L’annunciato taglio del cuneo fiscale va in questa direzione: ma l’intervento deve essere accompagnato da altre misure per ridurre la pressione fiscale che grava sui lavoratori. Noi proponiamo di defiscalizzare gli aumenti retributivi: una misura dai costi contenuti che, in tre anni, potrebbe lasciare 2,1 miliardi di euro nelle tasche delle famiglie.