Qualche giorno fa l’Istat ha diffuso i dati relativi all’andamento dell’occupazione nel 2022, dai quali si evince che al Sud questo parametro è cresciuto di circa due punti percentuali, passando dal 44,8% del 2021 al 46,7% del 2022.
Il recupero di 147 mila posti di lavoro compensa però solo a metà quelli persi dall’inizio della crisi finanziaria del 2012-2013, quando nel Mezzogiorno si sono perduti oltre 300 mila posti di lavoro.
Altro dato degno di nota è quello riguardante la tipologia contrattuale, visto che il 70% sono contratti a tempo indeterminato, frutto sicuramente sia delle stabilizzazione dei contratti a tempo parziale – favorita dalla norma sulla fiscalità di vantaggio -, che dalle assunzioni che si cominciano a registrare nel settore pubblico.
Questi nuovi posti di lavoro si sono registrati nelle costruzioni (+5% di occupati), frutto del boom del Superbonus al 110%; e dei servizi (+4,7%), in particolare del commercio e del turismo.
Questi incrementi di posti di lavoro si sono registrati in quasi tutte le Regioni del Sud, in particolare in Puglia, che si classifica al primo posto con oltre 60 mila unità in più (38 mila assunti con contratto a tempo indeterminato) e occupa la quarta posizione in Italia dopo Toscana, Lombardia e Veneto; seguono a distanza la Campania, la Sardegna, la Sicilia, ecc.
Segnali certamente importanti, soprattutto perché indicano che la risalita non appare più una cosa impossibile; e che però al tempo stesso non cancellano il ritardo che continua a pesare sul Sud e sul destino dell’Italia. Questo perché 13 punti di distacco dalla media nazionale, e 21 da quella del Nord, restano macigni enormi, una vera e propria zavorra assolutamente insopportabile e senza paragoni in Europa.
Inoltre, questi incrementi nell’occupazione, seppur incoraggianti, non cancellano neppure il fatto che nel Mezzogiorno il 60% delle donne non lavori!
Il divario dunque resta profondo e odioso, dal lavoro al reddito pro-capite; e può aggravarsi ulteriormente per le incertezze che gravano sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e per la cosiddetta Autonomia differenziata; due questioni che non sembrano promettere niente di buono per le aree territoriali più deboli della Penisola.
Preoccupano anche la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie (-3,7%), l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e quelli per la casa e la cura della persona (+12,7%), la riduzione dei consumi che colpisce il comparto alimentare (- 5%), il settore non alimentare (-2,3%), in particolare il calzaturiero e l’abbigliamento i cui consumi scendono di 2-4 punti percentuali.
Questo perché, se è vero che la corsa all’inflazione ha frenato a marzo la sua corsa grazie al crollo del prezzo dell’energia, è anche vero che questo rallentamento non si riflette ancora nel carrello della spesa.
Da tutto ciò ne deduco che quest’anno la colomba pasquale sarà particolarmente amara per i lavoratori dipendenti, non solo per quelli che non hanno rinnovato ancora i contratti (circa 10 milioni), ma anche per quelli che hanno avuto rinnovato il contratto nel 2022; perché l’indice di retribuzione oraria è cresciuto solo dell’1,1%, mentre quello dei prezzi al consumo, invece, ha avuto una dinamica superiore all’8%.
Per i pensionati la colomba sarà probabilmente meno amara, soprattutto per quelli che hanno un assegno lordo mensile non superiore a 2.100 euro, grazie all’adeguamento della pensione del 7,3%. Per coloro che hanno un assegno mensile superiore alla soglia anzidetta, invece, l’adeguamento è stato parziale e ritardato.
La colomba pasquale sarà amara anche per i titolari di bar, di piccoli esercizi commerciali e di tutte quelle attività, anche artigianali, considerate non energivore (ovvero che hanno contratti di fornitura della luce a partire da 4,5 Kilowattora di energia); perché lo sconto bollette sarà solo del 10%, mentre sino ad oggi era stato del 45%. Le imprese energivore invece subiranno un taglio non del 30% ma del 20%.
Di fronte a tutto questo sarebbe cosa buona e giusta che il Governo accantonasse la proposta scellerata dell’Autonomia differenziata, perché, oltre a spaccare il Paese, condanna il Sud ad arretrare ulteriormente sul terreno dei diritti sociali.
Inoltre sarebbe necessario che l’esecutivo si prodigasse nel contempo nell’utilizzazione di tutte le risorse economiche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, evitando che si consumi la rapina delle risorse destinate al Mezzogiorno da parte di alcuni sindaci (compreso qualcuno che si dichiara di sinistra) e di qualche presidente di Regione; i quali vogliono approfittare del deficit di competenze e di professionalità di cui soffrono le istituzioni locali del Meridione per portare così altre risorse ai loro territori.
In ultimo, ma certamente non ultimo, bisognerebbe che il Governo accelerasse sulla riforma del sistema fiscale (anticipando alcune misure con la prossima Legge di Bilancio) intervenendo sull’Irpef e per spingere sulla natalità.