Le prime pagine di tutti i giornali annunciano – alcune con enfasi, altre con prudenza e qualche punto di domanda -, che il Consiglio dei Ministri ha approvato tre provvedimenti importanti che potranno incidere positivamente sulle tasche degli italiani e sul futuro del Mezzogiorno d’Italia.
I provvedimenti sono: il disegno di legge sulla riforma fiscale, l’impegno per la realizzazione del Ponte sullo Stretto e l’approvazione della legge quadro sulla cosiddetta Autonomia differenziata.
Poiché mi colpiscono l’enfasi e i toni trionfalistici utilizzati dal Governo e da una parte della stampa, mi soffermerò soprattutto sul disegno di legge riguardante la riforma del fisco, rimandando ad un momento successivo le mie riflessioni sugli altri provvedimenti.
Sul Ponte dico solo che questo tema viene resuscitato ogni qual volta c’è da fregare il Sud; come si sta tentando di fare con il provvedimento che favorisce le Regioni già ricche, o alla vigilia di elezioni, per carpire il voto ai meridionali.
Mentre sull’Autonomia differenziata mi limito ad osservare che l’Esecutivo, piuttosto che dare ascolto alle preoccupazioni e alla contrarietà di alcune Regioni e di migliaia di comuni, ha preferito accontentare i “desiderata” della Lega di Salvini.
Fatta questa premessa, entro subito nel merito del disegno di legge riguardante la riforma fiscale, sulla quale il capo del governo, l’onorevole Giorgia Meloni, ha parlato di una svolta epocale, di un fatto rivoluzionario atteso da 50 anni.
Il disegno di legge delega varato dal Consiglio dei Ministri si suddivide in 5 parti, è costituito da 22 articoli e si propone di ridisegnare l’intero sistema, dai tributi ai procedimenti e alle sanzioni, nonché i testi unici e i codici.
L’obiettivo è quello di ridurre la pressione fiscale su cittadini, famiglie e imprese e lo si vuole perseguire:
- con la riduzione delle aliquote Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) per poi arrivare ad una flat tax per tutti;
- con il taglio dell’Ires (Imposta sul reddito delle società) con l’istituzione del concordato preventivo biennale e il rafforzamento dell’adempimento collaborativo per combattere l’evasione fiscale.
Occorre, però, precisare subito che il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri è solo un primo passo di un percorso che si prospetta ancora molto lungo. Ciò perché il provvedimento nelle prossime settimane deve superare altri due passaggi, il primo alla Conferenza Unificata (Regioni- Province- Comuni) perché il decreto interviene anche sui tributi regionali e locali; il secondo quello del Capo dello Stato, che dovrà autorizzare la presentazione del disegno di legge alle Camere.
Superati questi due passaggi inizierà la discussione nei due rami del Parlamento; e da quello che si capisce il Governo pensa di arrivare all’approvazione entro metà agosto.
Dopo che diventerà legge, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, si passerà al passaggio successivo, che è quello dell’attuazione della norma.
Per portare a termine questo passaggio il Governo si è dato 24 mesi di tempo per pubblicare tutti i decreti, come per fare un solo esempio quello contenente le nuove aliquote Irpef, la cui revisione è uno dei pilastri principali che modificherà anche le buste paga dei lavoratori.
Nella bozza del decreto c’è scritto che si dovrebbe partire con la riduzione delle aliquote che da 4 passeranno a 3.
A sentire gli esponenti del Governo allo studio ci sono due opzioni:
- La prima prevede l’accorpamento delle due aliquote centrali al 27% lasciando la più bassa quella del 23% per i redditi fino a 15 mila euro.
- La seconda opzione prevede l’innalzamento della fascia al 23% per i redditi da 15 a 28 mila euro per salire poi al 33% per i redditi fino a 50- 55 mila euro e mantenere quella al 43% per i redditi superiori.
Il proposito finale è quello di arrivare ad una flat tax, vale a dire una “tassa piatta” con una sola aliquota a prescindere dal reddito entro 5 anni.
Ma una prima flat tax arriverà subito e riguarderà i lavoratori dipendenti, che otterranno aumenti delle proprie retribuzioni.
Il meccanismo di funzionamento è il seguente: si prenderà il reddito dell’ultimo anno e lo si confronterà con quello più alto ottenuto nel triennio precedente. Se l’ultimo reddito risulta superiore, sulla differenza si applicherà la “tassa piatta”. Sull’aliquota che sarà applicata non viene detto nulla perché lo stabiliranno i decreti attuativi, ma si presume che sarà il 15%, la stessa che viene applicata ai lavoratori autonomi.
I soldi per procedere alla revisione dell’Irpef, che secondo le stime del Ministero dell’Economia si aggirerebbero tra i 5 e i 10 miliardi di euro, il Governo pensa di prenderli dal taglio delle detrazioni, che si ridurrebbero, perché i lavoratori guadagnando di più non godrebbero di determinate detrazioni.
La delega, per quando concerne i lavoratori, contiene anche la possibilità di dedurre i costi sostenuti per produrre il reddito da lavoro come, ad esempio il costo dei trasporti e la possibilità di scontare anche i contributi all’INPS.
Le altre novità sono: il taglio dell’Ires, l’imposta sui redditi delle società, che dal 24% potrebbe essere ridotta al 15%, ma questo sconto spetterà solo alle imprese che nei 2 anni precedenti hanno impiegato il loro reddito per assumere personale e per fare investimenti “qualificati”.
Altre novità ancora sono: quella di azzerare l’IVA sui beni di prima necessità come pane, pasta e latte; quella di imprimere una svolta nella lotta all’evasione fiscale, incentivando l’adempimento fiscale spontaneo; e infine quella di istituire il concordato preventivo biennale: si paga quanto pattuito in cambio di zero accertamenti e zero sanzioni per due anni.
Come è facile arguire da quando sinora detto le intenzioni del Governo sembrano buone, ma i tempi e le procedure di attuazione non sono affatto brevi. Sempre naturalmente che tutto proceda senza intoppi e che si trovino le risorse finanziarie occorrenti, cosa purtroppo non scontata.