Con questo libro Lina Rindone fa un gran bel regalo non solo a parenti e amici, ma alla storia sociale e politica di San Cono, un paesino che solo da qualche anno comincia ad avere suoi “figli” che raccontano pezzi della sua storia eppure ricca, significativa e persino emblematica della storia della Sicilia e dei Sud del Mediterraneo in generale[1]. Si legge con piacere non solo perché è scritto bene ma anche perché appassiona ed è stimolante da diversi punti di vista.
Due sono le principali parti di questo libro. La prima riguarda i ricordi di Lina dalla sua infanzia sino a ora, e quindi momenti, fatti ed episodi della storia della sua famiglia e della comunità sanconese e in particolare molti momenti assai significativi e anche cruciali della storia del fratello Totò Rindone (uno dei più importanti e amati leader delle lotte nelle campagne e del Partito Comunista in Sicilia).
La seconda parte riguarda il suo percorso di riflessione e di intenso e appassionato confronto di lei, credente e comunista, con una parte del Vangelo, di Marx e quindi col comunismo incarnato dal fratello e da lui praticato. Questa parte è in realtà l’approfondimento della prima, cioè della dura sofferenza e lotta che Lina sostiene sin dalla sua adolescenza per infine arrivare a capire come, in cosa e perché il cristianesimo ha -secondo lei- gli stessi fini del comunismo.
Il libro si legge con piacere, non solo perché è scritto bene, ma anche perché appassiona ed è stimolante da diversi punti di vista.
Due sono le principali parti di questo libro. La prima riguarda i ricordi di Lina sin dalla sua infanzia, e quindi momenti, fatti ed episodi della storia della sua famiglia e della comunità sanconese e in particolare molti momenti assai significativi e anche cruciali della storia del fratello Totò Rindone.
La seconda parte riguarda il suo percorso di riflessione e di intenso e appassionato confronto di lei, credente e comunista, con una parte del Vangelo, di Marx e quindi col comunismo incarnato dal fratello e da lui praticato. Questa parte è in realtà l’approfondimento della prima, cioè della dura sofferenza e lotta che Lina sostiene sin dalla sua adolescenza per infine arrivare a capire come, in cosa e perché il cristianesimo ha -secondo lei- gli stessi fini del comunismo.
Ancora nel secondo dopoguerra San Cono era uno dei paesi più poveri d’Italia: non c’era luce, non c’era acqua corrente, non c’erano fognature, non c’erano strade, tanta immondizia agli angoli delle case, tante mosche, insetti e zanzare, non c’erano scuole e la mortalità infantile era spaventosa. Insomma uno dei posti di cui allora si diceva “unni persi i scarpi u signuri” (dove perse le scarpe il Signore, ossia un luogo ignoto, fuori dalla realtà riconosciuta). Ma in questa terribile realtà covava da sempre l’anelito per l’emancipazione che però sino ad allora si traduceva solo in continua emigrazione e ritorni.
Totò spuntò come una sorta di Cristu de’ jurnatari, de’ derelitti, de’ viddani, de’ matri martoriate dalle pene di veder morire i bambini quasi sempre da giorni e giorni a stomaco vuoto. “Era prestante, bello, giocoso, gioviale e corteggiato”, e incarnava la fierezza, tipica di tanti lavoratori compaesani, che trasmetteva ai lavoratori, dimostrando sempre di essere integro e pronto a difenderli e difendere il sindacato e il partito: la missione della sua vita che non esitava a mettere anche a grave rischio.
Purtroppo di questo straordinario militante politico (nato a San Cono il 27 aprile 1924 e deceduto il 10 dicembre 1994 a causa di un aneurisma addominale) non resta alcun suo scritto autobiografico. Nella sua intervista da parte di Giorgina Levi a Catania il 10 febbraio 1989 (nel libro a cura di S. Torre, Era come un diavolo che camminava, Cuem, Catania: 2005, pp.159-167) dice: “La mia esperienza non ha niente di particolare perché si muove in un contesto complessivo che riguarda la storia del movimento contadino che è stata fatta di decine di migliaia di contadini, braccianti e lavoratori. E fra i tanti c’ero anch’io. … io vengo da una famiglia contadina neanche tanto povera diciamo. Ho avuto la fortuna di essere mandato a scuola …”. Non si tratta qui di falsa modestia; Totò era così e, come scrive Lina, era Totò per tutti i compaesani anche quando era diventato senatore. Sicuramente qualcuno ebbe a dire che era il regalo-miracolo che Santu Conu aveva infine donato ai suoi fedeli che lo adorano come la vera santità che merita la massima devozione e che si invoca difronte a ogni pericolo e sfida per la sopravvivenza e per la riuscita.
Come si capisce bene dal racconto di Lina, Totò è senza dubbio forgiato dall’esempio e dagli insegnamenti -mai espliciti ma sempre forti e densi di significato- che riceve dal padre, ma anche dalla madre e poi da quella parte della comunità sanconese segnata da tante ingiustizie e sofferenze, ma anche sempre dall’aspirazione all’emancipazione, pronta ad alzare la testa. E’ in questo mondo che Totò interiorizza l’etica e la morale che lo fanno diventare un leader popolare amato e rispettato per la sua onestà, dedizione e coerenza, frutto quindi di un’esperienza di vita intensa, ricca e gratificata dall’affetto sincero dei tanti lavoratori, compagni e amici dei quali lui è l’espressione genuina[2]. Non a caso, non appena comincia la sua militanza nelle campagne e nei paesi vicini, Totò è subito seguito, scortato, fortemente sostenuto da tanti compaesani che lo proteggono: sono una fratellanza comunista senza bisogno di essere passati per scuole di sindacato o di partito; è il gruppo coeso che l’accompagna e gli fa sentire la forza per poter sostenere ogni sfida (si vedano i nomi di tutti questi suoi compagni nel libro di S. Bonura, Lotte rubate. Omaggio a Totò Rindone).
Lina, sorella di Totò, ci restituisce tanti bei momenti e aneddoti della straordinaria vita di questo fratello che ha tutte le caratteristiche tipiche della maggioranza dei Sanconesi: coraggio sino a sfide temerarie nel lavoro e nell’emigrazione per riuscire ad emanciparsi e in quelle lotte che Totò guidò seguito dalla maggioranza dei lavoratori compaesani e di altri comuni. È quindi del tutto naturalmente che diventa l’autentico capopolo ma che non tradisce, che sta sempre con i lavoratori e la popolazione che guida nella lotta per il riscatto. Molto importante è senza dubbio il sostegno della sorella Crucidda, su cui Totò conta tanto: è da lei che porta anche le celebri personalità che lo accompagnano a San Cono (fra questi Carlo Levi e Ignazio Buttitta -lo ricorda Saro, il figlio di Crucidda). Lei è una donna straordinaria, con un carattere forte e una convinzione comunista di ferro, ma anche una madre attentissima e moglie insuperabile. Purtroppo morì presto ancora prima di Totò. Una perdita molto pesante. Forse sarebbe potuta diventare la prima sindaca comunista in Sicilia che fu terra di grandi donne resistenti contro la guerra, contro lo sfruttamento e per il socialismo e il comunismo. Ma i tempi non erano maturi per permettere questo salto a una donna.
La passione di Totò era di cantare e recitare -non a caso- e con le capacità di un attore di grande talento, la ballata per la morte di Salvatore Carnevale. Leggendo il libro di Lina e il poema di Ignazio Buttitta non si può non pensare che molto probabilmente si identificasse a questo eroe del sindacalismo siciliano:
“Ancilu era e nun avia ali, nun era santu e miraculi facìa, … era l’amuri lu so’ capitali e ‘sta ricchizza a tutti la spartiva … ‘ncuntrava la morti e ci ridìa ca videva li frati cunnannati sutta li pedi di la tirannia, li carni di travagghiu macinati supra lu cippu a farinni tumìa, e suppurtari nun putìa l’abbusu di lu baruni et di lu mafiusu” (vedi traduzione in italiano in nota[3]).
E, come fa capire bene Lina, nei discorsi e la pratica militante di Totò non c’era nulla di ideologico, di astratto, ma una enorme umanità che coglieva il senso della cristianità popolare trasformandola in ragione per la lotta:
“Fatti curaggiu e nun aviri scantu ca veni jornu e scinni lu Misia, lu sucialismu cu’ l’ali di mantu ca porta pani, paci e puisia; veni si tu lu voi, si tu si’ santu, si si’ nnimicu di la tirannia, s’abbrazzi a chista fidi e a chista scola ca duna amuri e all’omini cunzola[4].
Totò sapeva parlare ai lavoratori e al popolo, in dialetto, e con parole semplici ma efficaci come quelle di Turiddu Carnivali:
“Dissi a lu jurnateri: ‘Ntra li grutti ‘ntra li tani durmiti e ‘nda li staddi, siti comu li surci di cunnutti vi cuntintati di fasoli e taddi; ottùviru vi lassa a labbra asciutti e signu cu’ li debiti e li caddi, di l’alivi unn’aviti la ramagghia e di la spiga la ristuccia e la pagghia … La terra è di cu la travagghia, pigghiati li banneri e li zappuna. E prima ancora chi spuntassi l’arba ficiru conchi e scavaru fussuna: addiventò la terra una tuvagghia, viva, di carni comu ‘na pirsuna; e sutta la russiu di li banneri parsi un giganti ogni jurnateri”[5].
E ai carrabinieri che gli intimarono: “La liggi chistu un lu cunsenti”, Turiddu ci rispusi: “La vostra è la liggi di li preputenti, ma c’è na liggi chinun sbagghia e menti, e dici: pani a li panzi vacanti, robbi a li nudi, acqua a l’assitati, e a cu travagghia onuri e libirtati!”[6].
E Buttitta scrive: “Giusto diceva Turiddu Carnivali, anche nella Bibbia sono scritte queste parole. Ma la mafia non ha fede cristiana e nemmeno quella umana”.
E anche qui si trova ciò che alimenta la riflessione critica di Lina rispetto alla interpretazione dello stesso Vangelo da parte della Chiesa cattolica. Da adulta Lina supera la grande pena e dolore che ha sofferto a causa della guerra di religione scatenata a San Cono dal prete integralista reazionario che scatena la sua crociata anticomunista contro Totò e chi lo segue, somministrando scomuniche a destra e a manca. Lina è costernata ma via via diventa consapevole che cristianesimo e comunismo dovrebbero essere compresi come uguali. Allora vuole scuotere i cattolici e accusa quindi la chiesa di essersi dimenticata della salvezza dei fratelli cristiani ricchi, dal momento che non si è preoccupata di liberarli dal malvagio fardello della ricchezza, malvagio, per l’appunto, per essere, per lo più, motivo e frutto dello sfruttamento dei più forti e potenti sui più deboli. Di conseguenza, un peccato mortale, anzi -secondo lei- il vero peccato originale, che fa da impedimento ad entrare nel Regno dei Cieli. Se no -dice lei- che senso avrebbe la frase del Vangelo “È più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel Regno dei Cieli? E lei insiste: “tu chiesa ti occupi pietosamente di elargire elemosine ai poveri, che prima o poi andranno in Paradiso, e ti scordi dei fratelli ricchi su cui grava minacciosamente l’anatema del Vangelo”. Ovviamente c’è qui una sottile ironia; lei lancia una provocazione sull’uso ipocrita che la chiesa fa del concetto di carità cristiana, che “non si deve declinare come elemosina, bensì come solidarietà” (appunto come la praticano i comunisti). E solidarietà nella lotta per la rivendicazione delle idee di libertà rispetto e diritti e doveri per tutti. Questo -dice lei- è quello che ha insegnato il Vangelo e lei lo ritrova come segno e valore morale laico incorruttibile nell’idea di Comunismo del fratello Totò, come in tutta la sua attività politica.
Questo è secondo lei il filo rosso del suo libro che quindi vuole mostrare ai cattolici che per l’effettiva uguaglianza, pace e benessere fra gli umani, cioè la predica di Gesù è uguale a quello che auspicava Marx e per cui lottano i comunisti. Il percorso della riflessione di Lina si completa infatti quando scopre la “Teologia della liberazione” e apprende la realtà del cosiddetto terzo mondo, il sacrificio anche della vita di tanti religiosi uccisi per ordine dei dominanti quasi sempre protetti dagli Stati Uniti.
Il lettore giovane o anche meno giovane che però da decenni è travolto dai grandi sconvolgimenti economici, sociali, culturali e politici potrà, forse, considerare questo libro come una testimonianza di un passato che non c’è più e che oggi appare incomprensibile sia per quanto riguarda la storia di Totò Rindone, sia la riflessione della sorella Lina fra Vangelo, Marx e il Comunismo. È vero, siamo approdati al contesto del cosiddetto capitalismo-liberista che sembra aver cancellato del tutto il passato. Ma non si può capire il presente senza conoscere il passato e nulla esclude che questo passato possa riprodursi in forme aggiornate e coerenti. La ricostruzione di una vera sinistra coerente resta tutta da fare. Può darsi che ci vorrà tanto tempo, ma la Resistenza al supersfruttamento che oggi è diffuso e in proporzione tanto quanto c’era nel 2° dopoguerra, così come la Resistenza ai disastri sanitari e ambientali e quindi l’aspirazione all’emancipazione comunista: si tratta innanzitutto di una questione di sopravvivenza, non moriranno mai[7]
Probabilmente, se fosse vissuto, Totò si sarebbe battuto senza tregua per salvaguardare il patrimonio delle lotte contadine e popolari del secondo dopoguerra e del Partito Comunista[8]. Sarebbe forse stato capace di evitare la deriva liberista che s’è imposta dopo lo scioglimento del PCI sino al PD di oggi che non mostra ai credenti che cristianesimo e comunismo perseguono gli stessi fini e non sta più fra i lavoratori e i poveri.
Per ora non ci resta di ricordare quella pagina della storia sanconese, siciliana e italiana che rimane comunque un patrimonio ricchissimo. Ricorderemo Totò Rindone nel centenario della sua nascita.
Salvatore turi Palidda
[1] Si vedano innanzitutto libri di Mimmo Almirante e la sua recensione di Lina Rindone su La Sicilia del 13/9/2022
[2] Come suggerisce anche Yves Winkin nella sua presentazione dell’opera di Ervin Goffman, ogni essere umano si forgia nel corso della sua esperienza di vita; vedi E. Goffman, Les moments et les hommes, Seuil, 1988
[3] Angelo era e non aveva ali, non era santo e miracoli faceva, … era l’amore il suo capitale e questa ricchezza con tutti la spartiva … incontrava la morte e ci rideva ché vedeva i fratelli condannati sotta i piedi della tirannia, le carni di lavoro macinate sopra il ceppo a farne sfarinato, e supportare non poteva l’abuso del barone e del mafioso (ricordiamo che ancora nel 2° dopoguerra in alcune zone di fatto vigeva anche lo ius primae noctics, ossia la pretesa del padrone o del mafioso gabelloto di abusare delle figlie vergini dei lavoratori sottoposti al feudo).
[4] Fatti coraggio e non avere paura che verrà il giorno e scenderà il Messia, il socialismo con le ali di manto che porta pane, pace e poesia; viene se tu lo vuoi, se tu sei santo, se sei nemico della tirannia, se abbracci questa fede e questa scuola che dà amore e gli umani consola. Il socialismo con la sua parola prende da terra gli umani e li alza, e scorre come l’acqua della fonte e dove arriva rinfresca e sana e dice: che la carne non è suola (di scarpe) e neanche farina che si cerne; tutti uguali e lavoro per tutti, tu mangi pane se lo sudi e guadagni”.
[5] Disse al lavoratore a giornata: Tra le grotte tra le tane dormite e nelle stalle, siete come i sorci di fognatura vi contentate di fagioli e foglie di zucca; ottobre vi lascia le labbra asciutte e segnati coi debiti e i calli, delle olive non avete che i rami e della spiga la ristuccia e la paglia … La terra è di chi la lavora, prendete le bandiere e le zappe. E prima ancora che spunti l’alba fecero conche e scavarono fossi: la terra diventò una tovaglia, viva, di carne come una persona; e sotto il rossio delle bandiere ogni bracciante sembrò un gigante.
[6] La legge questo non lo consente”, Turiddu rispose: “La vostra è la legge dei preputenti, ma c’è una legge che non sbaglia e mente, e dice: pane alle pance vuote, vestiti agli ignudi, acqua agli assetati, e a chi lavora onore e libertà!”
[7] Vedi anche: Resistenze ai disastri economici, sanitari e ambientali nel Mediterraneo, Derive&Approdi, 2018 e San Cono. Migrazioni ed emancipazione, Meltemi, 2021