Continuano i giorni del nostro lutto: nel 2021 sono state 1.221 le vittime sul lavoro registrate in Italia; di queste 973 rilevate in occasioni di lavoro, mentre 248 decedute a causa di un incidente “in itinere”.
Nel primo semestre 2022 abbiamo registrato 452 decessi, con una media angosciante di 77 morti sul lavoro ogni 30 giorni. In netto aumento le denuncie di “infortuni”: rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso sono aumentate del 43,3%.
Dedichiamo a loro un ricordo che cerchiamo di perpetuare per elevare – ancora e nonostante tutto – un monito contro lo sfruttamento.
L’8 agosto di 66 anni fa 262 minatori, di cui molti italiani, morirono nelle miniere di carbone a Charleroi, in Belgio, nella miniera di Marcinelle a causa di un incendio.
Ricordare oggi quei caduti deve significare ritrovare nel quotidiano le ragioni della nostra ostinata ricerca per “abolire lo stato di cose presenti”.
Non si può che ritornare a quanto descritto da Marx e Engels nel «manifesto»: «il proletario è senza proprietà, il moderno lavoro industriale, il moderno asservimento al capitale, identici in Francia, come in Inghilterra, in America come in Germania lo hanno spogliato di ogni carattere internazionale». Ebbene la tragedia di Marcinelle, quell’8 agosto 1956 dimostrò per intero la veridicità dell’analisi marxiana: i morti, i sacrificati all’idea dello sviluppo anche quella volta – anzi mai come quella volta – non avevano nazione, erano soltanto sfruttati portati all’estremo sacrificio.
In trent’anni la forza lavoro globale è aumentata di un miliardo e duecento milioni di donne e uomini. Quaranta milioni in un anno. Più di centomila al giorno, 75 al minuto. E’ il ritmo con il quale crescono le fabbriche in Cina e si affollano le periferie: da Giakarta a Hanoi, da Mumbai a Lagos, da Johannesburg al Cairo.
Si ascolta qui il respiro del mondo.
Nell’Occidente sviluppato e maturo emergono tratti di vero e proprio “ritorno all’indietro” alle condizioni sociali della prima rivoluzione industriale, quelli descritti dalle pagine di Dickens o di Zola. E’ sempre attuale e presente il “nostro Germinale”.
La memoria di Marcinelle, momento storico esemplare nell’idea della ferocia dello sfruttamento, deve servire prima di tutto a ricordarci questo.
RICORDIAMO L’8 AGOSTO 1956
di Usi (Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912 e ricostituita)
66 anni fa, la strage su lavoro nella miniera di MARCINELLE in Belgio. Il bilancio totale fu di 262 morti, di cui 136 di emigrati italiani.
Causa della strage operaia, l’ennesima STRAGE ANNUNCIATA, un incendio scoppiato a quota 975 della miniera, nel distretto carbonifero di Charleroi: i minatori morirono a causa di un banale e prevedibile incidente, dovuto alla mancata applicazione di semplici misure di protezione, dalla disorganizzazione che utilizzava e sfruttava, allora come oggi, la forza lavoro, specie soggetta a emigrazione, posta in competizione fra diverse nazionalità ed etnie e con lavoratori-trici italiani, una merce umana di scambio, per accordi internazionali e l’ottenimento o il mantenimento di margini di profitto di pochi, a danno di tanti e tante.
Allora, erano gli accordi tra i Governi belga e italiano, forza lavoro e braccia in cambio di quote di carbone, l’ORO NERO dell’epoca, per la “ripresa economica”. A 66 ANNI DI DISTANZA – nonostante l’innovazione tecnologica e una legislazione potenzialmente migliore (il decreto 81/2008 e le tante direttive europee su salute e sicurezza) – SI CONTINUA A MORIRE SUL LAVORO E …DA LAVORO, con un triste primato in Italia di morti, “infortuni” sul lavoro (i denunciati ufficialmente non sono la totalità di quelli che realmente avvengono), aumento di malattie professionali con…la siccità e il caldo che ti fanno star male per tenere alti i ritmi di produttività, nelle fabbriche, come nei campi dove si MUORE PER “l’ORO ROSSO” (la raccolta di pomodori, frutta e ortaggi) o negli uffici e servizi pubblici e privati.
MOLTE LE PROTESTE E GLI SCIOPERI SPONTANEI, NELLE FABBRICHE COME IN AGRICOLTURA, nella torrida estate 2022, anche se il protagonismo operaio è ancora sfilacciato e non coordinato, con un’attenzione continua a tenere insieme LA LOTTA PER ADEGUATI AUMENTI SALARIALI, PER CONDIZIONI DI SALUTE E SICUREZZA IDONEE E DIGNITOSE PER LA VITA DELLE PERSONE, CON LA LOTTA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI E LE DISPARITA’ DI TRATTAMENTO “DI GENERE”, che riportano a una concezione autoritaria, feudale, patriarcale dei rapporti di lavoro conseguenti a quelli sociali in fase di ristrutturazione e di crisi, con un dominio culturale delle classi dominanti e di chi gestisce il potere anche a livello istituzionale, approfittando dello smantellamento dell’istruzione pubblica, di massa, riducendo a mera testimonianza, il sapere critico e collettivo, la stessa formazione delle giovani generazioni (la futura forza lavoro da sfruttare e sottomettere).
Fino a che LA SALUTE SARA’ CONSIDERATA UNA MERCE, LA SICUREZZA UN “COSTO”, da ridurre, abbattere, o contenere per mantenere profitti e utili, sulla pelle di chi lavora, la strada sarà ancora lunga da percorrere. A questo stato di cose, 66 ANNI FA COME A MARCINELLE, OGGI IN ITALIA E NELLA “CIVILE EUROPA” dilaniata da conflitti etnici e da guerre per il controllo delle materie prime e delle risorse energetiche, rimane VALIDA E ATTUALE LA PRATICA della LOTTA DI CLASSE, che abbiamo ereditato dai fondatori dell’Usi nel 1912 e dalla lezione degli aderenti all’INTERNAZIONALE ANTIAUTORITARIA DI SAINT IMIER, di cui ricorrono i 150 anni (le iniziative avranno il culmine internazionale nel 2023 in Svizzera), per la liberazione da sfruttamento e dominio. PER RICORDARE SEMPRE, per mantenere viva la memoria delle stragi operaie e la necessità, oggi ancora più di ieri, di autorganizzarsi sui posti di lavoro.
CHI NON HA MEMORIA, NON HA UN FUTURO.
NONOSTANTE TUTTO, SIAMO ANCORA TENACEMENTE DETERMINATI A LOTTARE COLLETTIVAMENTE, SOLIDALI e ORGANIZZATI A LIVELLO ITALIANO E INTERNAZIONALE.
UNITI PER UN ALTRO FUTURO
ENSEMBLE POUR UN AUTRE FUTUR.
Lu Trenu di lu suli di Ignazio Buttitta |
1.Turi Scordu, surfararu, abitanti a Mazzarinu; cu lu Trenu di lu suli s’avvintura a lu distinu.2. Chi faceva a Mazzarinu si travagghiu nun ci nn’era? fici sciopiru na vota e lu misiru ngalera.3. Una tana la sò casa, quattru ossa la muggheri; e la fami lu circava cu li carti di l’usceri.4. Sette figghi e la muggheri, ottu vucchi ed ottu panzi, e lu cori un camiuni carricatu di dugghianzi.5. Nni lu Belgiu, nveci, ora travagghiava jornu e notti; a la mogghi ci scriveva: nun manciati favi cotti. 6. Cu li sordi chi ricivi 7. Li mineri di lu Belgiu, 8. Turi Scordu, un pezzu d’omu, 9. Cu li fimmini ntintava; 10. E faceva pinitenza 11. Certi voti lu pinseri 12. Ca si c’era la minestra 13. Comu arvulu scippatu 14. Doppu un annu di patiri 15. E parteru matri e figghi, 16. Na valiggia di cartuni 17. Pi davanti la cuvata 18. La cuvata cu la ciocca 19. Lu paisi di luntanu 20. Ogni tantu si firmava 21. Patri e matri si prisentanu, 22. «Lu me nomu? Rosa Scordu». 23. Quantu cosi si cuntaru! 24. Quannu vinni la nuttata 25. Tutti sentinu la radiu, 26. Rosa Scordu ascuta e penza, 27. E si strinci pi difisa 28. E la radiu tascabili 29. Poi detti li nutizii, La radio trasmette: 30. Ci fu un lampu di spaventu 31. Un trimotu: «Me maritu! 32. Cu na manti e centu vucchi, 33. L’àutra manu strinci e ammacca 34. E li figghi? cu capisci, 35. Rosa Scordu, svinturata, 36. Misi attornu l’emigranti 37. Va lu trenu nni la notti, 38. Turi Scordu a la finestra, 39. L’arba vinci senza lustru, LA TRSDUZIONE IN ITALIANO 1. Turi Scordu, zolfataro, 2. Che faceva a Mazzarino 3. Una tana la sua casa, 4. Sette figli e la moglie, 5. Nel Belgio, invece, ora 6. Con i soldi che ricevi 7. Nel Belgio, le miniere, 8. Turi Scordu, un pezzo d’uomo, 9. Con le donne ci tentava; 10. E faceva penitenza, 11. Il pensiero, certe volte, 12. Che se c’era la minestra 13. Come albero strappato 14. Dopo un anno di patire 15. E partirono madre e figli 16. Di cartone la valigia 17. Lei davanti, e la covata 18. La covata con la chioccia 19. Il paese da lontano 20. Ogni tanto si fermava 21. Padri e madri si presentano, 22. «Il mio nome? Rosa Scordu». 23. Quante cose si dicevano! 24. Quando venne la nottata 25. Tutti sentono la radio, 26. Rosa Scordu ascolta e pensa, 27. E si stringe per difesa 28. E la radio tascabile 29. Poi diede le notizie, 30. Vi fu un lampo di spavento 31. Un terremoto: «Mio marito! 32. Una mano e cento bocche, 33. L’altra mano stringe e ammacca 34. E i figli? chi capisce, 35. Rosa Scordu, sventurata, 36. Stanno intorno gli emigranti 37. Va il treno nella notte, 38. Turi Scordu alla finestra, 39. L’alba venne senza luce, Questa poesia è un omaggio a tutti gli emigranti – vecchi e nuovi – e alle sofferenze che hanno patito. «Lu Trenu di lu suli» (1963) tratto da «La mia vita vorrei scriverla cantando» a cura di Emanuele e Ignazio Buttitta, Sellerio editore – 1999 Articolo di Franco Astengo e di USI (Unione sindacale italiana) |