Alcuni virus tendono a mutare spesso evolvendosi in varianti in grado di eludere l’immunità acquisita da una popolazione. Questo vale in modo particolare per virus come SARS-CoV-2. Così, per mantenere alta la protezione offerta dai vaccini, anche questi devono essere aggiornati. Ecco come
In seguito al repentino aumento dei contagi delle ultime settimane, il tema della “quarta dose” – o seconda dose booster – è all’ordine del giorno. Alcune Regioni hanno già invitato le proprie aziende territoriali a proporre il vaccino non più solo agli ultraottantenni ma anche agli ultrasessantenni e agli over 12 fragili. L‘Italia ha ancora molte dosi di vaccini che ha acquistato e che sono in fase di scadenza, nonostante a settembre 2021 sia stata prorogata dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) la scadenza di Comirnaty di Pfizer, che è passata da sei a nove mesi, anche per i flaconcini prodotti prima della data di approvazione.
La questione è tuttavia se abbia più senso procedere con questa quarta campagna per grossa parte delle popolazione, con un vaccino modulato ancora sul primo virus, oppure attendere “l’aggiornamento” annunciato per l’autunno. Sebbene non siano ancora stati pubblicati gli studi relativi alle registrazioni, sono previsti due aggiornamenti, entrambi dei vaccini a mRNA: quello del vaccino Moderna e quello di Pfizer. Entrambi dovrebbero essere bivalenti, ovvero modulati sia sul virus di Wuhan, che sulla prima variante Omicron. Il grosso “salto” dal punto di vista genetico del virus è avvenuto infatti nel passaggio da Delta a Omicron.
Perché si aggiorna un vaccino?
La maggior parte dei virus a RNA muta molto spesso, e da questo fatto deriva la necessità di aggiornare i vaccini. Solitamente i virus non cambiano all’infinito perché modificare una propria struttura che svolge una certa funzione può anche comportare il venir meno di questa funzione. “SARS-CoV-2 rappresenta un’anomalia in questo campo, perché è riuscito a raggiungere delle mutazioni che lo hanno reso sempre più trasmissibile e infettante”, spiega a “Le Scienze” Massimo Clementi, professore ordinario di microbiologia e virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. “Per funzionare i vaccini devono adattarsi a questa evoluzione genetica del virus. Molti vaccinati con i primi vaccini non sono oggi protetti dall’infezione, che è ciò che ci aspettiamo da un vaccino. Tuttavia, fortunatamente, sono comunque efficaci nel ridurre la prevalenza di malattia grave.”
“Nel frattempo infatti c’è stato un adattamento e anche la malattia è cambiata” continua Clementi. “Per replicarsi di più, il virus ha dovuto pagare il fio di non riuscire a infettare con la stessa efficienza l’albero respiratorio inferiore. Le polmoniti con Omicron 5 sono molte di meno rispetto alle varianti precedenti.” La reazione grave a COVID-19 è data dalla ormai nota “tempesta citochinica”: una elevatissima produzione di citochine, in particolare di interferone, che avviene nel momento in cui il virus giunge nel polmone, determinando una forte infiammazione.
Gli altri vaccini aggiornati nel tempo
Non è la prima volta che un vaccino viene aggiornato, ma lo è per un vaccino a mRNA. Tutti i vaccini antinfluenzali, per esempio, vengono aggiornati di anno in anno. I virus influenzali e i coronavirus sono simili, anche se hanno una biologia diversa: i coronavirus sono più grandi, ma entrambi albergano sia nell’essere umano che negli altri animali. Entrambi hanno la caratteristica di mutare frequentemente alcune loro parti, per massimizzare la loro possibilità di sopravvivenza e diffusione. Lo abbiamo osservato chiaramente durante la pandemia: alcune varianti emergevano e “morivano” senza quasi lasciare traccia, mentre altre in pochissimo tempo diventavano dominanti.
In altre circostanze – non è il caso di SARS-CoV-2 – il virus muta per la presenza di farmaci che selezionano la versione resistente; in altre la mutazione può dipendere dalla capacità di infettare, come è avvenuto per i virus influenzali umani, che derivano da quelli aviari. Negli anni abbiamo dunque dovuto aggiornare i vaccini, anche in seguito a episodi di mescolamento di genomi, per esempio nel caso di un virus del maiale con un virus dell’essere umano, che ha finito per modificare la proteina cruciale per il processo di infezione da parte del patogeno.
Come si aggiorna un vaccino
Dipende da come il vaccino è costruito. Esistono a oggi cinque “tipologie” di vaccini: quelli più tradizionali, i primi prodotti, sono i vaccini costituiti da virus attenuati (per esempio il vaccino Sabin contro la poliomielite); i vaccini con virus ucciso al suo interno, come il vaccino Salk contro la poliomielite, quello contro l’epatite A e il vaccino antinfluenzale, ma anche i vaccini antibatterici come quello contro la difterite e quello contro il tetano. Poi ci sono i vaccini a subunità, che usano solo parti del patogeno, come quello per l’epatite B, quello contro il papilloma virus (HPV) e i vaccini contro i meningococchi. Infine, negli ultimi anni si sono aggiunti i vaccini ad adenovirus (Astrazeneca e Jannsen per SARS-CoV-2), ma anche i vaccini contro Ebola di recente produzione) e i vaccini a RNA.
“Nel caso di vaccini a virus intero – spiega Clementi – si sostituisce il gene che esprime una certa proteina. È come cambiare la gomma di un’auto: si toglie un pezzo di acido nucleico che produce la proteina aggiornata e se ne introduce un altro ricostruito in laboratorio. Se invece si tratta di vaccino a subunità con particelle di grasso ricoperte di proteine, è necessario sostituire la proteina. Per SARS-CoV-2 va formulata in modo diverso la sequenza di RNA messaggero.”
Come si aggiorna un vaccino a RNA?
Un concetto importante per comprendere questa dinamica è quello di neutralizzazione virale: il vaccino deve indurre anticorpi neutralizzanti, che colpiscano cioè la struttura superficiale del virus, per fare in modo che da quel momento non sia più in grado di coadiuvare l’ingresso del virus nella cellula. SARS-CoV-2 è pericoloso per l’essere umano perché è dotato di una struttura sulla superficie della sua proteina spike capace di legarsi al recettore ACE-2 delle cellule del nostro albero respiratorio. La logica dei vaccini a RNA è bloccare questa struttura così che non sia più in grado di legarsi al recettore. È sufficiente che inibisca il legame con il recettore, non quello con l’intera proteina, e per questo è sufficiente che il vaccino includa solo la superficie del recettore e non la proteina intera. Ricordiamo inoltre che il resto dei vaccini in commercio per altri patogeni si basano su tecnologie più tradizionali, e alcuni di essi prevedono la presenza di virus attenuati. I vaccini di ultima generazione, come quelli per SARS-CoV-2, inducono una risposta immunitaria nei confronti di strutture più piccole di una proteina intera. In altre parole, in questi vaccini serve molta meno struttura del virus rispetto ad altri, per indurre la risposta immunitaria.
“Nel caso della piattaforma a mRNA l’aggiornamento è più semplice che con altri vaccini – spiega ancora Clementi – perché è sufficiente modificare una minima parte delle strutture della proteina spike.”
Quanto dura la sperimentazione?
“Modificare la struttura di RNA messaggero richiede pochissimo tempo, perché di fatto si tratta di sostituire un mattoncino all’interno di una struttura, quella del vaccino, che rimane la stessa. Quasi tutto il tempo che le aziende farmaceutiche dedicano all’aggiornamento di un vaccino serve alla validazione da parte delle autorità competenti; mentre anche la produzione in grosse quantità avviene ormai in pochissimo tempo. Anche il costo della sperimentazione solitamente è più alto di quello di produzione.”
Gli effetti avversi
Durante la sperimentazione di questi aggiornamenti viene eseguito un monitoraggio degli effetti avversi, anche se chiaramente gli effetti estremamente rari (nell’ordine di un caso per milione) possono emergere solamente in campioni enormi di popolazione. In Europa l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha contato per Comirnaty (Pfizer), al 29 maggio 2022, 786.000 effetti avversi su 640 milioni di dosi per un totale di 7935 decessi riportati (0,0012 per cento, cioè 12 ogni milione di dosi). Ciò non significa però che i decessi siano dovuti alla vaccinazione, la correlazione va dimostrata anche se non è sempre possibile farlo. Per Spikevax (Moderna) si sono contati 219.000 effetti avversi e 1059 di morti per un totale di 152 milioni di dosi: lo 0,0006 per cento, 6 per 1 milione di dosi.
La chiave per comprendere perché una persona reagisca in modo grave a un vaccino è complessa: riguarda la genetica individuale e i fattori ormonali, che determinano il modo in cui ognuno di noi reagisce a tutto ciò che è esterno, non solo al vaccino, ma a ogni farmaco, a ogni tossina presente in un alimento. “In ogni modo, è la tecnologia del vaccino a determinare la reazione, non i suoi eccipienti – spiega Clementi – Nel caso di vaccini con virus attenuato, il responsabile è il DNA dello stesso, perché il vettore virale simula un’infezione da parte del virus non umano. I vaccini a RNA sono su questo più semplici dei primi, perché non hanno appunto alcun DNA.”
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