Possono le braccia che ti accolgono anche ucciderti? "Non so perchè l'ho fatto": la confessione di mamma Martina Patti che ha ucciso la figlia Elena di soli 4 anni

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MASCALUCIA – C’è un abbraccio che stride con tutta questa triste e assurda vicenda. E’ l’abbraccio che una bimba di 4 anni, Elena Del Pozzo, da alla mamma andandole incontro all’uscita del grest. Come farebbe ogni bambino e come ogni genitore è contento di ricevere. Un abbraccio, l’ultimo, tra questa madre e questa figlia. Perché quelle stesse braccia che l’hanno accolta, che appena nata l’hanno cullata, sono quelle stesse braccia che l’hanno uccisa, che hanno avvolto il corpicino con dei sacchi neri dell’immondizia, che l’hanno sepolta in una buca scavata con una zappa e una pala, buca scavata forse mentre la figlia era a giocare proprio al GREST.

Questo quello che raccontano gli inquirenti, questo quello che ha dovuto subire la piccola Elena la cui unica colpa, secondo quelle che sono le ricostruzioni di Procura etnea e carabinieri, era quella di essersi affezionata alla nuova compagna del padre.

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Elena è figlia di Martina Patti e di Alessandro Del Pozzo. Ma Elena è anche figlia dei tempi moderni, di coppie che scoppiano, di una società che a volte è assente davanti a certe grida di dolore e di aiuto. Elena è figlia di tutti noi ma tutti noi, forse, non abbiamo saputo cogliere il suo disagio o, ancor di più, il disagio di questa famiglia. Elena è figlia – per usare le parole di Don Fortunato di Noto – “della disumana follia di un potere oppressivo e soppressivo del mondo degli adulti che non sanno gestire la rabbia o il loro fallimento e che cancellano come un file la vita dei bambini”.

“E’ emerso un quadro familiare in cui non si evinceva un rispetto reciproco. Non si respirava serenità”, ha detto Piercarmine Sica, il Comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri di Catania che insieme ai suoi uomini, coordinati dal comandante provinciale Rino Coppola, ha seguito ogni istante di indagini, si è recato sui luoghi, ha ascoltato questa mamma che – dicono i parenti – era poco empatica, fredda. “Anche se con la bambina era sempre affettuosa”, aggiungono ricordando al contempo qualche episodio in cui però, perdendo la pazienza, ha alzato le mani sulla figlia.

Martina ha, forse, studiato ogni dettaglio di questo delitto: non a caso i carabinieri hanno eseguito uno stato di fermo per omicidio premeditato pluriaggravato. 

La premeditazione: perché se già un omicidio è qualcosa di orribile, averlo studiato, premeditato è ancor peggio soprattutto se la vittima è il sangue del proprio sangue.

Pare, dicono gli inquirenti, che Martina avesse studiato i vari dettagli: dalla messa in scena del rapimento per mano di tre uomini incappucciati e armati, alle telefonate verso l’ex e i genitori per informarli di quanto accaduto, dalla scelta della strada dove poter dire di essere stata aggredita alla denuncia dai carabinieri di Mascalucia.

Martina è andata a prendere la figlia a scuola, alle 13. Dice, però, di essere stata bloccata alle 15:30 vicino a una curva di via Piave, a Piano Tremestieri. Ma le telecamere di videosorveglianza non mostrano alcun commando armato.

Prima incongruenza che viene evidenziata dagli inquirenti durante il primo interrogatorio fatto a Martina Patti; non solo questa come discrepanza. Martina chiama l’ex compagno, chiama i genitori, ma non si reca subito dai Carabinieri. Prima torna a casa dai suoi genitori e poi con loro va a fare la denuncia. Cercando di incolpare l’ex compagno e tirando fuori una vicenda del passato: secondo quanto riferito dalla donna, l’episodio del rapimento sarebbe una conseguenza del comportamento dell’ex compagno – Alessandro Del Pozzo, con precedenti in materia di spaccio – per non aver ascoltato precedenti messaggi minatori fattigli recapitare presso la propria abitazione per una rapina dalla quale però il Del Pozzo è stato assolto.

Una lunga notte, quella tra il 13 e il 14 giugno, in cui Martina Patti resta ferma sul suo racconto. Ma arriva la mattina del 14. Martina cede e indica ai carabinieri il luogo dove si trova il corpo della figlia Elena: solo 600 metri di distanza da casa, a Mascalucia, un fondo agricolo dove forse Elena qualche volta avrà giocato e che dal 13 giugno si è trasformato nel suo cimitero.

Martina accompagna gli inquirenti: resta nella sua Fiat 500, poi viene scortata nuovamente in Procura per un nuovo interrogatorio e ammette di aver ucciso la figlia, ma non ne spiega le motivazioni. Dice anche di aver agito in solitaria senza l’aiuto di nessuno. 

Elena presenta, quando il corpo viene scoperto dai carabinieri, molteplici ferite da armi da punta e taglio alla regione cervicale e intrascapolare. Forse un coltello da cucina l’arma del delitto.

Ma Elena dove è stata uccisa? Davvero nessuno ha aiutato questa 24enne?

Domande alle quali gli inquirenti vogliono dare una risposta che dovrebbe arrivare grazie al prosieguo delle indagini. Oggi si ritorna nella villetta in via Euclide, a Mascalucia, dove Martina ed Elena vivevano e dove i carabinieri cercheranno nuovi indizi. Si aspetterà anche l’esame autoptico: il corpo della bimba è nell’obitorio dell’ospedale Cannizzaro.

Martina, oltre che per l’omicidio, è accusata anche di occultamento di cadavere e di false informazioni al pubblico ministero.

La presunta omicida è stata associata presso la Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza.

Ai parenti resta “l’ergastolo del dolore”, così come ripete spesso una meravigliosa mamma come Vera Squatrito a cui hanno ucciso una figlia.

A noi deve rimanere un dubbio: sappiamo ascoltare o siamo diventati sordi davanti alla sofferenza altrui?

 

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