Buonasera e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Comu veni si cunta“.
In questa puntata vi parlerò degli effetti della crisi pandemica e della guerra per dire con chiarezza alcune cose.
Innanzitutto che la crisi causata prima dalla pandemia e dopo dalla guerra, abbia colpito molto duramente famiglie e imprese è un dato assolutamente inconfutabile.
Così come è assolutamente inconfutabile che il PNRR, di cui tutti abbiamo decantato i possibili effetti sul Mezzogiorno d’Italia, non pare abbia avuto, ad oggi, quell’impatto positivo sulla crescita dell’occupazione che molti di noi si aspettavano.
Infatti, a questo proposito, i dati più aggiornati ci dicono che il lavoro nel Sud rimane una chimera, considerato che rimane distante più di 20 punti dalle medie nazionali e dell’Unione Europea.
Ma questi dati ci dicono anche, stante alle analisi dei Consulenti del Lavoro, che nei due anni della pandemia la situazione è addirittura peggiorata. Infatti gli occupati nel Sud sono scesi da 6 milioni e 93 mila del 2019 a 5 milioni 968 mila del 2021: meno 125 mila unità.
Un dato questo che non è ancora peggiore di quanto già non sia anche grazie al boom dell’edilizia che, invece, ha fatto registrare un aumento di 60 mila occupati.
Questo significa che il Mezzogiorno, non solo non è riuscito a recuperare i 500 mila posti di lavoro che aveva perso a partire dal 2008, l’anno della grande crisi mondiale, ma a questi 500 mila se ne sono aggiunti altri 125 mila.
Complessivamente mancano all’appello nel Sud 625 mila posti di lavoro! Questo nonostante nel 2021 il PIL abbia fatto registrare un incremento del 6 per cento.
Il prezzo più alto di questo stato di cose lo pagano il Mezzogiorno, le donne e i giovani.
● lo paga il Sud alla luce del fatto che nelle ultime 5 regioni dei Paesi dell’EU per basso indice di occupazione nel 2021 troviamo 4 regioni meridionali: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia che condividono la stessa posizione in classifica della Guyana francese;
- lo pagano le donne perché il tasso di occupazione femminile in Sicilia supera appena il 30 per cento e perché su 100 lavoratori interessati all’attivazione di un nuovo contratto nel Mezzogiorno solo 43 erano donne, contro un valore di 47 nel Nord-ovest, 48,1 nel Nord-est e 48,4 al Centro.
Altro dato particolarmente negativo è quello riguardante la precarizzazione dell’occupazione meridionale: nel 2021 il 40 per cento delle nuove assunzioni sono avvenute con contratti a tempo determinato e part-time (nel Centro-Nord la percentuale invece è del 28,1 per cento).
A tutto questo si aggiungono le conseguenze dirette della guerra. In questo senso il crollo maggiore dell’economia riguarda soprattutto Russia e Ucraina.
Pagano un conto salatissimo i Paesi del terzo mondo perché alle conseguenze della peste e della guerra si aggiunge anche la fame, causata dal crollo delle importazioni di cereali e fertilizzanti dalla Russia e dalla Ucraina.
Pagano un prezzo minore Cina e Stati Uniti anche se nella grande mela l’inflazione ha raggiunto quasi il 7 per cento. Sono particolarmente drammatiche le conseguenze della guerra per Germania e Italia perché questi due paesi, più degli altri, dipendono dalle forniture del gas russo.
Gli aumenti dei prezzi delle materie prime e del gas scaricatesi sui consumi delle famiglie e sui costi di produzione del sistema delle imprese, in particolare di quelli più bisognosi di energia, comportano un maggiore costo di oltre 2500 euro l’anno per le famiglie e un maggiore costo di produzione per le imprese.
Di fronte a questa situazione che ha un impatto negativo sul PIL e fa galoppare oltre il 7 per cento l’inflazione il governo ha cercato di correre ai ripari varando due giorni fa un’altra manovra finanziaria con la quale mette sul piatto altri 14 miliardi di euro senza fare altro deficit.
Questi fondi sono destinati:
- al rinnovo dello sconto di 25 centesimi sulle accise sui carburanti, che grazie agli effetti anche sull’Iva, porta la riduzione del prezzo alla pompa a 30 centesimi;
● alla proroga dello sconto diretto del 25 per cento per un’altra trimestre a favore di chi ha un ISEE fino a 12 mila euro (20 mila per le famiglie numerose con 4 o più figli);
● alla concessione di un bonus straordinario di 200 euro a pensionati, lavoratori dipendenti e autonomi a condizione che il loro reddito non superi i 35 mila euro l’anno;
● a un intervento sui prezzi dei materiali di costruzione, dei carburanti e dei prezzi energetici per impedire che si blocchino i lavori del Pnrr;
● a un contributo fino a 400 mila euro a favore di quelle imprese che hanno avuto un impatto diretto con guerra, vale a dire che vendevano prodotti e servizi ai paesi coinvolti nel conflitto.
Di fronte a una manovra che interviene cercando di dare un aiuto a tutti qualcuno dirà bravo al governo.
Noi, pur essendo stati tra gli estimatori del governo Draghi, e pur riconoscendo che gli stanziamenti varati sono consistenti, non ci accodiamo al coro degli applausi.
Primo: perché sul Superbonus è importante la proroga fino all’autunno per le villette, il che significa che per poter accedere fino al 30 dicembre di quest’anno all’incentivo si può completare il 30 per cento dei lavori entro il 30 settembre anziché entro il 30 giugno, ma se non si sblocca anche la questione della cessione dei crediti per migliaia di imprese continua ad essere buio pesto.
Secondo: è giusto tamponare le emergenze, ma senza interventi strutturali su produzione, consumi e produttività non si va da nessuna parte.
Terzo: sul Piano nazionale di ripresa e resilienza il Sud ha già subito tre furti: sugli asili nido, sui progetti di ricerca degli Atenei del Sud e sugli impianti sportivi, su queste tre materie non si è rispettata la quota del 40 per cento. E il Governo sta a… a guardare!
E noi, di certo, non possiamo rimanere in silenzio. Appuntamento a questa sera alle ore 20.00 in diretta sulla nostra pagina Facebook e sul nostro canale Youtube.