Tramite la nuova tecnologia del Distributed Acoustic Sensing, un cavo in fibra ottica è stato trasformato in una lunga serie di sensori per catturare i segnali generati dall’attività vulcanica dell’Etna.
Un cavo in fibra ottica è stato interrato nell’area sommitale dell’Etna per misurare le variazioni di deformazioni associate all’attività sismica e vulcanica. Il cavo, interrogato da un sofisticato dispositivo DAS (rilevamento acustico distribuito), è stato in grado di rilevare per la prima volta su una fibra i segni dell’attività vulcanica dell’Etna.
Questi sono i risultati di uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Deutsches GeoForschungsZentrum – GFZ – di Potsdam (Germania), appena pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Tramite la tecnologia DAS, i cavi in fibra ottica sono in grado di registrare i terremoti. Questa tecnica, particolarmente utile nelle applicazioni delle geoscienze in cui l’obiettivo è di misurare le vibrazioni del suolo, si basa su un principio di misura che prevede l’invio di un impulso di luce in una fibra e sulla rilevazione del segnale retro-diffuso dalle imperfezioni della stessa. Proprio l’analisi del segnale fornisce informazioni sulle deformazioni che il cavo subisce in ogni suo punto.
“Nel lavoro appena pubblicato”, spiega Gilda Currenti, ricercatrice dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, “abbiamo dimostrato l’elevata sensibilità e accuratezza dei dispositivi DAS nel misurare segnali sismo-vulcanici e il contributo che questa tecnologia può fornire nell’avanzamento della comprensione dei processi vulcanici. Il cavo, interrato in uno strato di scorie”, prosegue la ricercatrice “è stato in grado di registrare deformazioni associate all’attività dell’Etna, quali esplosioni, degassamento dei crateri sommitali, terremoti locali, come anche a fenomeni atmosferici, tra cui grandine e fulmini”. “Le misure DAS sono state validate mediante il confronto con sensori tradizionali come geofoni, sismometri e sensori infrasonici”, aggiunge Philippe Jousset, ricercatore del GFZ.
Le dettagliate e abbondanti osservazioni, impossibili con altre tecniche di misura, permettono di rilevare e caratterizzare le esplosioni vulcaniche, la propagazione delle onde acustiche generate e la loro interazione non-lineare con il suolo. Dall’analisi e dalla modellazione dei segnali è stato possibile identificare strutture vulcano-tettoniche nascoste, nonché identificare e caratterizzare eventi vulcanici con elevata accuratezza.
“La risoluzione spaziale offerta dalle misure DAS ha permesso di estrarre e amplificare segnali molto deboli, ma importanti, che sarebbero altrimenti fuori portata per l’analisi quantitativa”, aggiunge Benjamin Schwarz, coautore della ricerca e ricercatore del GFZ.
“Questo studio dimostra che il DAS può essere usato per monitorare l’attività vulcanica e riteniamo che questa tecnica potrebbe diventare a breve uno standard per il monitoraggio”, prosegue Gilda Currenti.
Grazie alla capacità di interrogare cavi anche a lunghe distanze, fino decine di km, i dispositivi DAS possono essere installati in luoghi sicuri e lontani dai crateri attivi, trasformando la fibra in una serie di sensori distribuiti più facili da gestire rispetto a sensori tradizionali che richiedono alimentazione e sistemi di trasmissione dati nel sito di installazione.
“L’installazione e l’utilizzo di cavi in fibra ottica che attraversano i fianchi dei vulcani dalle aree sommitali, fino ai villaggi abitati, fornirebbe una opportunità unica per approfondire la conoscenza della risposta dell’edificio vulcanico ai processi magmatici al fine di comprenderne le origini”, osserva Philippe Jousset.
“L’applicazione del DAS su reti sottomarine di cavi in fibra ottica, oggigiorno ampiamente utilizzate per la trasmissione dati, potrebbe, inoltre, fornire migliaia di sensori per studiare sistemi magmatici sottomarini, altrimenti inaccessibili”, conclude Lotte Krawczyk, Direttore del programma POF (Program-Oriented Funding) presso l’Helmholtz Association.
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